Dal numero 1015 di Riviera Oggi

GROTTAMMARE – Grafico e pubblicitario. Amante dello sport e della cultura. Così possiamo definire Michele Rossi. Dal 1982 è uno specialista in comunicazione e immagine. Il suo ufficio a Grottammare è un archivio di ricordi ed eventi. Di qualsiasi genere.

Michele Rossi è stato l’ideatore del festival ‘Cabaret amore mio!’ (nome originale tramutato poi in ‘amoremio!’).  “Il primo manifesto che realizzai per la rassegna fece innamorare l’allora assessore Matilde Menicozzi al progetto” dichiara sorridente.

Un’altra passione è il calcio. Michele Rossi è stato giocatore a livello dilettantistico. Ed è un grande tifoso della Sambenedettese e del Grottammare. I suoi ultimi lavori stanno riguardando questi due amori. Prossimamente realizzerà un libro sulla storia del Grottammare Calcio. Riguardo alla Samb sta procedendo alla realizzazione di ‘Quaderni Rossoblù’. Storie di leggende che hanno vestito la casacca della Sambenedettese.

Il primo volume s’intitola ‘Paolo Beni – La Bandiera’. Un omaggio alla memoria del calciatore che ha disputato il più alto numero di partite sia complessive sia da capitano in maglia rossoblù. La presentazione del testo avverrà il 20 dicembre, alle 18, all’auditorium comunale di San Benedetto del Tronto.

A dire la verità Michele Rossi aveva già realizzato un quaderno, dove erano narrate le gesta di un altro giocatore glorioso. “Nel 2010 dedicai un libro al grottammarese Mimmo Mecozzi. Soprannominato affettuosamente il ‘roscio tutto polmoni’. Un grande mito della Sambenedettese approdato in seguito anche a squadre blasonate come Catanzaro e Lazio” afferma lo stesso Michele Rossi.

Inoltre il grafico grottammarese sta allestendo ‘Serata d’onore rossoblù’, una cena (che si disputerà ogni mese) dove prenderanno parte ex giocatori della Sambenedettese con cui si avrà la possibilità d’interagire e ricordare momenti storici. Un’occasione per i più nostalgici ma anche per i più giovani che vogliono conoscere la storia della Samb. “Il 12 dicembre, all’agriturismo La Contrada, avremo ospiti della cena Flavio Pozzani e Arcadio Spinozzi. Il primo, portiere di Castelnuovo Veronese, ha collezionato in maglia rossoblù 51 presenze, subendo 36 reti. Il secondo, terzino/stopper di Tortoreto Lido, dopo due gettoni timbrati in Serie C nei campionati 1971-72 e 1972-73, nelle due stagioni con Pozzani scese in campo 48 volte, senza segnare alcuna rete. Insieme poi dalla Sambenedettese approdarono al Verona, in Serie A, nei due successivi tornei”.

Che scopo hanno queste cene e la realizzazione dei ‘Quaderni Rossoblù’?

“Prima di tutto ho voluto rendere omaggio alla figura di uomini straordinari che hanno vestito con gloria e dignità la maglia della Sambenedettese. Un pensiero alle persone che ancora oggi dovrebbero essere un esempio per la società attuale. Inoltre è mia volontà preservare le testimonianze di giocatori che hanno vissuto l’epoca d’oro della Sambenedettese. Calciatori che hanno giocato campionati di Serie B in rossoblù affermandosi anche in squadre blasonate dopo aver fatto la gavetta a San Benedetto. Ritengo giusto è doveroso mantenere viva la memoria di questi personaggi. Sarà dura rivedere un altro Paolo Beni in Riviera. Una vera e propria leggenda e bandiera. Dispiace anche immaginare che molti ragazzi di oggi non sanno neanche chi sia e cosa ha rappresentato. In questi testi che sto realizzando, è possibile vedere la differenza tra il calcio di oggi rispetto a quello passato. E s’intuisce il cambiamento che inesorabilmente stava avvenendo”.

Quali sono alcune differenze che risaltano all’occhio rispetto all’attualità?

“Innanzitutto c’era in quegli anni una vera appartenenza al territorio. Molti giocatori rossoblù erano sambenedettesi o comunque provenivano dalla province di Ascoli, Fermo e Macerata. Anche da Civitanova. Nel vicino Abruzzo erano adocchiati talenti da Martinsicuro, Tortoreto, Giulianova e Teramo (Mecozzi e Virgili dalla Robur Grottammare, Di Francesco dal Silvi, Piccioni dal Giulianova, Valà dal Porto d’Ascoli, Castronaro e Ripa dal San Crispino di Porto Sant’Elpidio, Traini dall’Offida, Spinozzi dal Tortoreto e Deogratias dalla Pergolese per fare qualche nome). Lo scouting era gestito a livello territoriale. Si dava priorità alle promesse dei vivai nostrani. Borghi del Piceno e del Teramano erano orgogliosi di poter aiutare la Sambenedettese. Ora è tutto diverso. I giocatori ‘autoctoni’ sono poco considerati. Si punta a scommettere su ragazzi provenienti da altre regioni consigliati da pseudo-esperti del settore e procuratori. Per carità, a volte arrivano bravi calciatori ma spesso pure delle vere bufale. A questo punto è meglio puntare sui nostri giovani. Gli osservatori passavano giornate intere sotto la pioggia a scovare possibili talenti nei campi di periferia. Adesso, invece, si dà tutto per scontato e ci si fida della parola. E ci si rimette molto di più parlando dal punto di vista sia economico sia sportivo. È un discorso che si ripercuote anche a livello nazionale. La serie B, ai tempi della Samb, era una piccola A. Al Ballarin abbiamo visto giocare in squadre ‘minori’ giocatori come Paolo Rossi, Spillo Altobelli, Pietro Paolo Virdis, Evaristo Beccalossi, Antonio Cabrini e Marco Tardelli. La seconda serie ora è molto più povera dal punto di vista qualitativo”.

Nelle sue parole si avvertono molta nostalgia e malinconia di quei tempi.

“Esattamente. Era un altro calcio. Era un’altra Sambenedettese. Da grande tifoso ricordo e rimpiango quei momenti. Eravamo in un’altra dimensione. Naturalmente spero che si torni presto a rivivere quei fasti. Nel frattempo, però, mi premuro a mantenere, conservare e preservare il passato. Una grande storia. Da trasmettere alle prossime generazioni. Sarebbe un grave errore che i posteri dimenticassero gesta e imprese di calciatori che prima di tutto erano veri uomini. All’epoca, come sarà raccontato anche nei miei quaderni, era facile girare per San Benedetto e dintorni e incontrare i giocatori nei bar a chiacchierare e scherzare con tifosi di tutta l’età. Adesso se ne vedono davvero pochi. Certo, erano altri tempi e la figura del calciatore aveva una concezione diversa. Ma quella mentalità era salutare per tutte le componenti della comunità. Faccio un piccolo esempio. I calciatori forestieri facevano conoscere ai propri familiari la città e ne rientrava anche un benessere economico e turistico”.

Lei è stato fautore dello stemma raffigurante la lancetta. Un simbolo che ancora oggi è riconosciuto dalla maggior parte dei sambenedettesi come quello più rappresentativo non solo della squadra ma anche della città. Come nacque questa sua idea?

“Era il 1983. A quei tempi molte società di calcio stavano compiendo un restyling grafico dei propri simboli. Erano anche gli anni in cui la celebre trasmissione della Rai, 90° Minuto, all’introduzione della sintesi delle partite faceva vedere gli stemmi delle squadre. Molte di esse utilizzarono un animale. All’epoca la Sambenedettese non aveva ancora un vero e proprio simbolo. Al massimo, nelle figurine Panini, la squadra era rappresentata da un marinaio. Parlai di questo restyling con il presidente Zoboletti che mi diede l’assenso per pensare alla realizzazione del nuovo stemma. Cominciai a studiare la storia di San Benedetto del Tronto. Anch’io all’inizio pensai a qualche animale. Il delfino lo levai di mezzo perché già preso dal Pescara. Pensai a un gabbiano ma lo considerai banale. Un giorno mi fermai davanti allo studio fotografico Sgattoni e vidi delle foto di alcune lancette. Molto belle. Allora pensai che potesse essere il simbolo giusto per rappresentare la Sambenedettese. E, in effetti, fu subito ben apprezzato e divenne lo stemma della società fino agli anni di Venturato e del primo fallimento. Poi fu ripreso da Gaucci e dai Tormenti. Adesso c’è stata una fusione con il Torrione, altro simbolo storico della città, ma so che molte persone si sono affezionate alla mia lancetta e questo non può che farmi tanto piacere”.

Cosa si augura da questa Samb? Porterà i suoi frutti l’avvento del nuovo mister Paolucci?

“Naturalmente, da tifoso, mi auguro che la Samb vinca il campionato. Dobbiamo tornare presto a livelli più alti, più consoni al blasone della squadra. Spero che la rosa non sia smembrata a gennaio, bensì rinforzata. Sul nuovo mister non mi sbilancio perché è appena arrivato e dobbiamo, giustamente, dargli il tempo di lavorare e trovare la giusta amalgama”.