SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Per giudicare “Mio Papà” bisogna spogliarsi. Spogliarsi dai preconcetti che il film di Giulio Base inevitabilmente porta in dote. Difficile ipotizzare due minuti di applausi scroscianti se la pellicola non fosse stata girata a San Benedetto, con i protagonisti oltretutto presenti in sala durante la primissima proiezione.

Città riconosciuta negli sfondi, nelle location familiari e nelle comparse che il più delle volte sono l’amico o il parente seduto al tuo fianco. Una sorta di immedesimazione collettiva che plagia l’opinione, regalando al contempo un tutto esaurito (la première era ad invito, quindi gratuita) dettato dalla curiosità e dal passaparola.

Ma qual è il vero valore di “Mio papà”? A livello distributivo il film è destinato al basso profilo – non che sia una colpa – con le “sole” 80 copie sparse in tutta Italia. “Il giovane favoloso”, giusto per intenderci, ne ha contate 250 nelle settimane scorse.

C’è poi il film, che dovrebbe affrontare una tematica rivoluzionaria, ovvero quella di un padre non naturale non riconosciuto dalla legislazione italiana. Un perfetto sconosciuto sul piano giuridico capace tuttavia di costruire un rapporto profondo con il figlio della compagna, letteralmente ‘dimenticato’ dal padre originario. La pecca di “Mio Papà” sta proprio in quest’ultima figura, astratta ed affidata ad un attore non professionista che non parla e non appare mai, se non di spalle.

Al di là del colpo di scena – in parte annunciato nella trama ufficiale – il film va nella direzione che lo spettatore auspica, con una morale comandata e un’impostazione didascalica e buonista più idonea forse alla fiction televisiva di stampo Rai (che ne è anche produttrice).

Il messaggio di “Mio papà”, seppur d’attualità, non è esclusivo. Nel 2000, “Sai che c’è di nuovo?” (ripudiato da pubblico e critica) tentò un percorso ancora più tortuoso raccontando il rapporto d’amicizia tra Madonna (etero) e Rupert Everett (gay) che una notte, causa sbronza di entrambi, fanno sesso. Lei resta incinta, partorisce e si mette con un altro, mentre Everett rivendica la paternità. Alla fine della fiera scoprirà che il bambino non era nemmeno suo.

Che dire infine di Verdone che, nel 1989, portò al cinema “Il bambino e il poliziotto”. L’attore romano, non nella sua stagione migliore, interpretava un commissario costretto ad occuparsi del figlio di una donna che aveva fatto arrestare. Nonostante le prime frizioni, sarà la stessa madre a vedere nel poliziotto la migliore protezione per il suo bambino.

Due precedenti non memorabili, ma sicuramente più coraggiosi.