BELFAST – Il 25 novembre 2005 moriva George Best. Uno dei giocatori più forti in assoluto nel panorama mondiale calcistico. Una vera leggenda. Una stella. Che si è spenta troppo presto. Sia calcisticamente sia come persona.

Nel calcio bruciò le tappe trasferendosi da Belfast (città natale) a Manchester per giocare con il blasonato United. Insieme ai leggendari Bobby Charlton e Denis Law. Allenato da Sir Matt Busby, uno degli allenatori più vincenti al mondo.

George vinse una coppa d’Inghilterra, due Premier League, due Charity Shield e una Coppa dei Campioni. Grazie alla conquista di questo trofeo si aggiudicò il Pallone d’Oro nel 1968. 137 gol in 361 partite con i Red Devils. George Best era considerato uno dei più grandi dribblatori di tutti i tempi. La classica ala destra. Velocità, tecnica, abilità palla al piede e potenza. Esuberante.

Amato dai tifosi. E dalle tifose. La sua esuberanza uscì anche fuori dal campo. Fu il primo “David Beckham” accerchiato dalle pubblicità e dagli sponsor. Sciacalli finanziari pronti a sfruttare la sua popolarità. E i primi ad abbandonarlo tempo dopo. Tra gli anni 60 e 70 in Inghilterra essere fuori dalle righe era il fenomeno del momento. Basti pensare al successo che stavano ottenendo i Beatles (tanto che fu soprannominato, per la sua stravaganza e capigliatura, il quinto Beatle). Era facile trovarsi a delle feste glamour. I famosi tabloid si gettarono su di lui. Qualsiasi gesto veniva immortalato e riportato dalla stampa scandalistica.

George Best, essendo il personaggio più ricercato, era onnipresente in queste occasioni. Festini a base di donne, alcol e droga. Quest’ultima però non l’ha mai sfiorato. Il suo tallone d’Achille era il bere. La sua dipendenza all’alcol è stata fatale. A 59 anni ha lasciato questo mondo per un’infezione epatica. Una vita costellata dagli eccessi. Dentro e fuori dal campo. Calcio, alcol e donne. Per questo suo stile di vita è diventato un’icona. Le sue citazioni, ancora oggi, fanno il giro del mondo. Tra le più celebri “Ho speso molti soldi per alcol, donne e macchine veloci…il resto l’ho sperperato” e “Per un periodo ho smesso di bere e uscire con le ragazze. Sono stati i venti minuti più brutti della mia vita”

Preferisco però ricordare un lato poco conosciuto di George Best. La sua fragilità. La sua sensibilità. La sua infanzia difficile nell’Irlanda del Nord dopo la Seconda Guerra Mondiale. La madre morta per lo stesso “malessere”: la dipendenza all’alcol. Il suo addio, doloroso, al Manchester United. Le faticose battaglie per smettere di bere. Le sue schermaglie con Scotland Yard. Il carcere. Le crisi economiche dovute al suo stile di vita. I tormenti con le sue compagne e il rapporto, non facile, con il figlio Calum.

Preferisco ricordare il lato umano del “divino” George Best. Perché, nonostante i privilegi e i capricci causati dal suo essere “Star”, era comunque umano.

Ciò è spiegato bene nell’autobiografia “The Best”. Un testo che narra in maniera trasparente la vita dell’Irlandese. Un libro che merita di essere letto.

Qualche giorno prima di morire si fece fotografare agonizzante nella clinica di Londra dove era ricoverato in condizioni gravi. Lasciando un messaggio chiaro e inequivocabile. “Non morite come me”Un addio e un monito contro l’alcol. Un vero, ultimo, “goal”.

E’ vero, George Best è divenuto un mito per i suoi eccessi e per essere “glamour”. Bisogna ricordare che, anche se appariva forte e invincibile alla società, aveva comunque debolezze e problemi comuni come qualsiasi persona normale. Ricordiamolo anche per questo.