SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Il caschetto l’ha mollato tanto tempo fa, ma le canzoni che lo resero celebre negli anni Ottanta sono tornate prepotentemente alla ribalta venerdì sera al Palariviera. Un concerto che Nino D’Angelo ha dedicato a quei ragazzi che su Facebook lo hanno implorato di riproporre il vecchio repertorio. “La richiesta arriva dai giovani. All’epoca non erano ancora nati, accontentando loro accontento me stesso”.

Ventenni appassionati e calorosi che spesso ambiscono a seguire le sue orme, magari attraverso la strada del talent. Ma nell’epoca in cui proliferano i giudici, Nino si tira indietro: “Non avrei mai il coraggio di buttare fuori qualcuno per un parere che magari può rivelarsi sbagliato. Non mi piace giudicare, già perdo troppo tempo a farlo con me stesso. Chi sono io per spezzare i sogni degli altri?”.

La fluente chioma bionda gli regalò la celebrità e, allo stesso tempo, lo ingabbiò: “Mi represse molto, scrissi tante cose belle, eppure la gente conosceva di me solo le canzoni dei film più commerciali. Avevo una mentalità differente da quello che si pensava”.

Finalmente l’altra faccia di D’Angelo emerse nel 1999 a Sanremo, grazie a Senza giacca e cravatta. “In Romania rimase in testa alla classifica per sette mesi. Era un bel brano commerciale. Credo comunque che per la svolta sia stato fondamentale anche Ciucculatina d’a ferrovia di qualche anno prima”.

Il rapporto con l’Ariston è strettamente legato a quello con Baudo: “Pippo è mio amico da 40 anni. Nel 2003 gli portai A storia ‘e nisciuno l’ultimo giorno utile e mi prese. Capì immediatamente la qualità del pezzo. E’ importante il metro usato per giudicare una canzone e soprattutto chi l’ascolta. A Sanremo onestamente di rivoluzioni ne ho viste pochissime. Non è un palcoscenico adatto alle rivoluzioni, se fai una canzone fuori dalle norme difficilmente entri in gara”.

L’ultima volta, nel 2010, non andò bene.

“Affatto. Portai Jammo Jà. Era l’edizione in cui il Principe Filiberto arrivò secondo. Di che stiamo parlando? Sanremo è importante, se me lo chiedono lo faccio. Non ne prendo le distanze, può sempre servire per promuovere un disco, ma non risolve i problemi della musica italiana”.

Condurrebbe un one man show sulla scia del programma di Massimo Ranieri?

“Già l’ho fatto, una decina di anni fa su Canale 5. Si intitolava Io non ti ho mai chiesto niente. Fui il pioniere, faccio sempre le cose prima degli altri, nessuno se lo ricorda. Chissà se in futuro me lo riproporranno”.

Da ex ragazzo della Curva B come ha vissuto la partita di sabato scorso tra Napoli e Roma?

“E’ una vicenda triste. Il 3 maggio non si sarebbe dovuto giocare. I tifosi meritano rispetto come le società e i calciatori, invece non vengono trattati allo stesso modo. E’ morto un ragazzo, ucciso da un tizio che non si sa cosa ci facesse là, dato che si disputava Napoli-Fiorentina. La partita andava annullata e andava fermato il campionato. La figura di Genny la Carogna è stata strumentalizzata. Sarebbe corretto scegliere all’unanimità un rappresentante del tifo, perbene e non violento, che faccia da portavoce e che in certe situazioni possa confrontarsi con i club e la Federazione”.

Ha visto la serie di “Gomorra”?

“No. Non mi frega di sapere cosa fa la camorra, la conosco. Uno che vive a Napoli sa del problema. Mi dispiace che la città sia rappresentata solo da queste cose. Napoli è ben altro, è piena di bella gente. Mi piacerebbe che si dedicasse l’identico spazio alle emergenze della disoccupazione, ai disagi degli emarginati. Scampia non sia solo il teatro per raccontare la camorra. Abbiamo scoperto tutto, ce l’hanno ripetuto in tutte le salse. Viva Saviano, ne nascano 100 mila come lui, ma voglio pure un Saviano che racconti l’esistenza di persone oneste che sperano”.

Crede che si venga al mondo tutti con le identiche possibilità?

“Non nasciamo uguali, assolutamente. Inizialmente lo pensavo, mi sbagliavo. C’è chi nasce per vincere e chi per sopravvivere. Io facevo parte della schiera di quelli destinati a non vincere. Ma quando i perdenti si mettono insieme generano una forza grande che genera miracoli. Io sono un miracolato”.

Le origini umili l’hanno aiutata a gestire il successo?

“Mi hanno permesso di rimanere coi piedi per terra. Secondo me è il più bel modo per godersi il successo. Avere a che fare con persone che ti amano è la cosa più bella del mondo. Non vanno mai tradite le origini, ce le portiamo sempre dietro. Si può migliorare, ma non saremo mai un’altra cosa. Sono fiero di ciò che sono”.

Al cinema l’abbiamo vista anche al fianco di Boldi e De Sica.

“Con loro girai tre film: Paparazzi, Tifosi e Vacanze di Natale 2000. Mi sono molto divertito, ma poi ho detto basta. Non rinnego niente. Anzi, posso vantarmi di essere stato il primo a recitare con Maradona. De Laurentiis mi propose di proseguire offrendomi un lungo contratto. Rifiutai. Dopo un po’ ti scocci a fare le stesse cose”.

Il nome di De Laurentiis riaffiora quando si parla di calcio. Che giudizio dà ai suoi dieci anni di presidenza?

“Ci ha fatto salire dalla C alla A e lo ringraziamo. Però non può ripeterlo tutti gli anni, l’abbiamo capito, è assodato. E’ stato bravo a consentirci di partecipare, adesso vorremmo vincere. I calciatori vanno comprati, non venduti. Basterebbe essere chiari con i tifosi e non fare proclami in estate. Abbiamo vinto due Coppe Italia, ma a Napoli il sogno è un altro”.