Vajont: va giù.
Il 9 ottobre del 1963 va giù tutto.

Va giù il Monte Toc, va giù l’acqua che esce dall’invaso, vanno giù oltre duecentosettanta milioni di metri cubi di rocce e terra. Duecento-settanta-milioni. Due-cento-settanta-milioni.
Vanno giù le vite delle persone. Vanno giù le vite degli abitanti lungo la valle del Piave.
Vanno giù Erto e Casso.
Va giù Longarone, presa di sprovvista mentre guardava Real Madrid – Rangers Glasgow.
Vanno giù i comuni limitrofi: Rivalta, Pirago, Faè, Villanova. Un po’ più a monte, va giù Castelvazzo.

Vanno giù le vite di 1910 persone.
Vanno giù vecchi, adulti, ragazzi e bambini.
Vanno giù madri, padri e figli, nonni e nonne, zie e zii, amici e nemici.
Vanno giù le vite dei sopravvissuti. Vanno giù i loro sogni, le loro notti, perpetuamente spezzate dal rombo dell’onda del 9 ottobre del 1963.
Vanno giù le vite dei ragazzi dell’Esercito Italiano, che la mattina del 10 ottobre si trovano davanti all’indicibile: fango & silenzio.

Vanno giù le polemiche e i processi sul disastro annunciato.
Vanno giù le sentenze farsa e le verità indicibili ma sotto gli occhi di tutti.
Vanno giù le reti degli amici dei potenti, degli interessi, del progresso, dei soldi a cui tutto è sacrificabile.
Va giù la Sade, l’Enel , lo Stato e gli amici degli amici.
Va giù Dal Piaz, consegnato alla damnatio memoriae.
Va giù Tina Merlin, montanara e dura come la verità, l’unica ad urlare, inascoltata.
Va giù la ricostruzione, forse più dolorosa del disastro.*
Va giù l’italia, che non impara mai, e dove si interviene sempre dopo.

Vanno giù gli anni, la memoria, il dolore del sopravvivere a quel 9 ottobre.
Vanno giù i ricordi, il “ti ricordi come era prima di”, chi c’era, chi non c’è più.
Va giù, tutto, sotto un mare di fango che nulla lava e tutto uccide.
Va giù, va giù, va giù, tutto, tranne la diga.

Dritta come un fuso.
Lei no, non va giù.
Rimane, dritta.
Come una lapide.

*Le immagini del lavoro “Nuova Vajont”, linkate nel pezzo, sono del fotografo Daniele Cinciripini