SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Quando l’anno scorso prese la fascia al posto di Traini (ultimo baluardo della vecchia Samb) mi chiesi il perché. È il giocatore più importante, si diceva, ma non era tutto. Parliamo di un giocatore come pochi, capace di essere prima e seconda punta, regista e finalizzatore, ma non solo: durante la chiacchierata di oggi ho scoperto una completezza nuova: capacità di analisi e lucidità, sogno e concretezza, dichiarazioni umili e prese di posizione orgogliose. Tozzi Borsoi è un uomo speciale nella sua contraddizione e – ora lo so – un vero capitano, a livello umano prima che tecnico.

Parto con una provocazione: sei uscito con la Samb sotto 3-0, i tuoi compagni hanno recuperato quella partita e vinto le altre 3. Hai paura di non ritrovare il posto?

“In squadra siamo 25 giocatori, io sono uno di quelli. Il mister deciderà di volta in volta chi e cosa serve alla squadra, io non mi aspetto nessun trattamento speciale”

A dir la verità sembrano esserci stati alcuni problemi, nello sbloccare le partite. Senza te in campo sembrano esserci meno alternative di gioco.

“Senza di me le difficoltà non le ho viste, dato che le abbiamo vinte tutte. Non credo che la mia assenza sia stata così pesante, dati i risultati. Le difficoltà – se ci sono state – ci sono state perché come squadra dobbiamo ancora crescere: vediamo su cosa lavorare, c’è un mister che fa queste scelte. Ogni giocatore ha le sue caratteristiche e non possiamo giocare tutti. Siamo in tanti, la squadra è forte, chiunque entrerà può far bene”

In casa avete segnato solo sotto la curva nord. Una casualità, o è merito del tifo?

“Sicuramente il tifo a San Benedetto è un’arma in più, arma che abbiamo sempre saputo di avere – non a caso il secondo tempo lo giochiamo sempre sotto la Curva Nord. Noi lo sappiamo, che i tifosi ci aiutano, e spingiamo di più il secondo tempo. Poi, certo, è meglio anche fare gol dall’altra parte del campo; ma arriveranno. Fortunatamente abbiamo tifosi che riescono a fare differenza, ma sta a noi prendere questa spinta per trasformarla in gol e buone giocate”

Inizialmente il mister ti voleva far giocare esterno con Di Paola prima punta, ora si torna all’antico o ci sono possibilità di vedere te e Di Paola insieme?

“Non avrei dovuto giocare esterno, ma – prendendo un’altra prima punta, dato che io non ho caratteristiche da prima punta statica – avremmo potuto giocare con due attaccanti, con me più basso e lui più avanzato. L’anno scorso rientravo spesso per fare gioco a centrocampo, ma in questa stagione – differenza della scorsa – abbiamo giocatori così validi che non c’è bisogno di tornare dietro per giocare palla. Posso e devo concentrarmi sui classici movimenti da punta per lo scopo principale della punta, che è il gol.

È vero, io ho un modo diverso di interpretare il ruolo, ma non avrei fatto l’esterno classico. Personalmente mi piace di più partecipare al gioco, toccare più palloni possibili, ma con arrivo Napolano ci sono più possibilità per le punte di avere rifornimenti coi cross e con le sue triangolazioni: ora è più importante andare verso la porta che verso il gioco e con questo centrocampo non c’è bisogno di strafare. Vediamo il mister come vorrà giocare; secondo me non bisogna stravolgere niente, ma dobbiamo migliorare partendo da questa base”

A dire la verità, Napolano contro il Giulianova e il Fano era quasi sempre a centrocampo, un po’ come facevi tu l’anno scorso. Forse a livello di gioco bisogna ancora crescere.

“È stata una partita complicata. Loro erano molto chiusi e – per esigenze – abbiamo saltato molte volte il centrocampo. Ma non credo che questo sia un problema. Se uno ha qualità per queste giocate, meglio; ma se prendiamo palla vicino la porta, siamo più pericolosi.

La nostra forza deve essere ricevere la sfera più alti possibili, perché se la prendiamo a 25 metri – e non a 50 – faremo più male. Ovvio, per fare questo dobbiamo essere supportati dal resto della squadra, ma credo che domenica non sia stato un problema imputabile a qualche mancanza.

Loro tenevano benissimo il campo e non ci faceva giocare palla a terra, sarebbe stato difficile per chiunque. Abbiamo il centrocampo più forte della categoria, posso assicurare che con la crescita della squadra né io né Napolano saremo costretti a prendere il pallone a centrocampo. Ma dobbiamo aspettare che siani tutti al 100%”

In questo mercato sono arrivati Napolano e Carteri, due che all’inizio non rientravano nei piani di Mosconi. In cosa è cambiato il vostro lavoro tattico, con i due?

“Erano giocatori di altre categorie, e all’inizio c’era un budget ristretto; abbiamo iniziato senza sapere in che campionato saremmo stati e il mister non poteva sapere chi e quale giocatori avrebbe avuto. Quando c’è stata possibilità di prendere Napolano, da esterno, credo che il più contento sia stato il mister. Per noi della squadra non ci sono problemi. Noi siamo un gruppo, dobbiamo pensare come un gruppo: più giocatori importanti ci sono e più possibilità ha il mister per farci vincere.

Lo stesso Carteri rientra nel discorso, è un giocatore importante che si va ad aggiungere ad un centrocampo già competitivo: dovrà conquistarsi il suo spazio, come il sottoscritto. A livello tattico, se giocheremo con due o tre attaccanti lo deciderà il mister: si può giocare con quattro punte e fare 0 gol, o avere un attaccante e segnarne 3 a partita. È la mentalità che si mette in campo, che conta, gli uomini contano fino a un certo punto”

L’arrivo dei due vecchi beniamini come è stato vissuto, dal gruppo dello scorso anno?

“Io e i compagni che sono rimasti abbiamo frequentato tanti spogliatoi – io con Napolano ci ho anche giocato, per un po’, a Perugia, lo conoscevo e sapevo cosa aveva fatto qui. Questa non è casa mia, come non lo è dei miei compagni, siamo ospiti; ho avuto e sto avendo la fortuna di vincere con questa maglia, ma non ci appartiene – appartiene ai tifosi.

Quindi non l’abbiamo vissuta come “un’intrusione”; il direttore sportivo fa il suo lavoro, e noi accettiamo i nuovi come parte di questa squadra; con Napolano come con Carteri, che è appena arrivato e già è uno di noi. Che ci siano stati prima, o che siano arrivati dopo, non ci sono distinzioni o differenze: tutti si devono inserire, quelli che sono rimasti, i nuovi, e quelli che sono tornati; sicuramente sarà un vantaggio per loro, perché già conoscono questa realtà”

L’anno scorso sembravi giocare con una facilità disarmante, quest’anno sarà più difficile. Quali saranno le principali differenze con la scorsa stagione, secondo te?

“Sicuramente sarà più difficile, perché ci sono giocatori più esperti e un gioco più veloce. Con alcune squadre non c’è molta differenza, con la vecchia categoria, ma con 4-5 squadre sarà più dura. La facilità dell’anno scorso – comunque – era figlia di un allenamento continuo, dato che abbiamo lavorato tutti i giorni per costruire qualcosa. Senza quel lavoro sarebbe stato difficilissimo. L’importante è dare sempre il 100%; e sarà più o meno facile, non so, ma so che le cose non vengono per caso: bisogna abituarsi ad allenarsi in una certa maniera, lavorare con una certa mentalità. Questo è un campionato diverso dall’anno scorso; non molto, ma ha un altro spessore”

I difensori saranno molto più preparati, quest’anno. Hai paura di non ripeterti?

“Differenze ci saranno, l’anno scorso c’era qualche giocatore forte, ma era un singolo, quest’anno ci saranno organici più competitivi e più organizzati. A me non interessa per forza fare la differenza, mi interessa vincere: se lo faccio facendo sembrare cose facili, meglio, ma se devo usare la sciabola la uso, magari evitando cavolate tipo quella di Agnone.

Vediamo partita per partita, quelle che abbiamo giocato ultimamente erano più tirate, anche se abbiamo affrontato squadre come Giulianova e Celano che (sulla carta) non erano tanto diverse da quelle di eccellenza. Già col Fano è stata più difficile, ma ce l’abbiamo fatta comunque”

Visto che hai citato l’episodio, ci racconti cosa è successo ad Agnone?

“Era la prima partita e ci tenevo troppo a far bene. I pro e i contro di giocare a San Benedetto li conosciamo, hai una grande spinta ma anche una grande responsabilità. Ho visto loro andare sul 3-0 e da parte nostra non vedevo una reazione, né uno spiraglio per recuperare; quando ho visto quello che stava per terra e faceva lo scemo per perdere tempo, prendendoci in giro, per 3 secondi ho perso la testa e ho fatto quel che ho fatto.

Ho sbagliato, ma è stato un errore che veniva dalla voglia di fare bene – non c’era nessun malessere. Forse a livello mentale l’espulsione è stata una svolta: eravamo bloccati di testa, anche perché se 11 vs 11 non fai un tiro in porta e in 10 rischi di vincerla, significa che il problema non era tecnico o tattico. Magari in 11, con quella mentalità del finale, la potevamo vincere agevolmente. È stato un gesto sbagliato che non avevo mai fatto e conto di non ripetere”

Quali sono le squadre che temi di più?

“Conosco poco gli altri organici, ma la Maceratese – che ora è prima – credo che sia la più in forma. Forse non la più forte a livello di organico, ma quella che al momento gioca meglio e ha più facilità di andare in gol. Al momento c’è un discreto entusiasmo, tra di loro, e sono temibili, ma dobbiamo avere rispetto di tutte le squadre.

Questa è una categoria dove si può rischiare con tutte le squadre, quindi bisogna rispettare tutti. Ma noi abbiamo una forza in più, che è l’entusiasmo dei nostri tifosi. Un entusiasmo che vogliamo far crescere con i risultati: credo che alla lunga possiamo essere avvantaggiati dalla spinta del tifo, ma saremo noi a dover spingere i tifosi, a nostra volta”

Questo gruppo può vincere?

“Io credo che questo sia l’organico migliore, insieme ad altre due-tre squadre. Ma non basta la squadra, a vincere, ci sono tanti fattori. Non possiamo dire che – dato che noi siamo più forti – dobbiamo vincere per forza: dobbiamo lavorare, attraversando momenti difficili – partite in cui vinceremo giocando male – e momenti di forma che dovremo sfruttare al massimo. Bisogna lavorare settimana dopo settimana, continuare come stiamo facendo, sfruttare le nostre qualità e la nostra forza. Giocare con 4 mila spettatori aiuta, ma dobbiamo riuscire a sopperire alle nostre difficoltà col lavoro durante la settimana, in modo da aumentare le nostre possibilità a fine anno”

Come ti trovi a San Benedetto? Raccontaci il tuo primo impatto con questa città.

“Vengo da 10 anni dove ho fatto campionati di un certo tipo, in piazze dove il calcio è visto come prima cosa. Terni e Perugia sono città che vivono di calcio, come San Benedetto. La difficoltà nell’arrivare a fine carriera sta nel trovare ambienti caldi dove mantenere intatte le giuste motivazioni. Se vai a Macerata – dove, se va bene, fai mille spettatori – ti mancano gli stimoli. A San Benedetto gli stimoli ci sono sempre, a prescindere dalla categoria. La scelta di venire qua è stata questa: io non gioco per la categoria, ma per sentirmi vivo; voglio sentirmi sempre un giocatore perché questa è la mia passione, e – giocando con tutti questi tifosi che mi spingono – posso farlo. Finché ho questi stimoli, finché avrò voglia di giocare a calcio, continuerò. Io ho dato qualcosa a questa tifoseria, è vero, ma loro hanno dato molto di più a me. Ho avuto fortuna, perché qui è una delle poche piazze dove potevo andare avendo questi stimoli. Ho preferito la Samb in Eccellenza piuttosto che restare in categorie superiori ma con lo stadio vuoto”

Facciamo un test: l’anno prossimo la Samb va in serie C, e la società ti dice: “Per noi non parti più da titolare, se vuoi il posto dovrai toglierlo ad uno dei primi 11”. Tu che fai?

“Nonostante io sia stato sempre capitano – e se non capitano, quasi – ho sempre conquistato ruolo giocando al massimo, senza regali. Di partire dietro nelle gerarchie è capitato sia a Perugia che a Terni, ma alla fine ho sempre giocato. (Ride, ndr) Se mi vengono a dire queste cose quasi mi fanno un favore: la prendo come sfida e tiro fuori il meglio di me. Se sto bene fisicamente e ho voglia di giocare, se ho l’entusiasmo giusto, accetto tranquillamente: poi sarà il mister a fare le scelte. Ma il problema sarà appunto essere a posto fisicamente, e avere voglia: il “giochi o non giochi” non mi ha mai spaventato”

Hai una lucidità incredibile, parli come fossi già un allenatore navigato. Ti piacerebbe misurarti in un ruolo del genere?

“Me lo dicono spesso. Credo che questo sia un percorso naturale, questo. Se penso a qualche anno fa non avevo in testa di fare niente, certamente non l’allenatore; ora è diventato un interesse, anche se non mi piace al 100%, perché ci sono cose – nel calcio – che non mi piacciono e non concepisco. Allenare è più difficile che giocare, però l’idea mi stuzzica. Ma ci vuole esperienza in tutto, e qui in particolare: per me significherebbe ricominciare da capo, e non è detto che riesca. Quando smetterò vedrò che fare. Al momento voglio fare e mi sento un giocatore, ma gli allenatori – ora – li guardo diversamente: cerco di rubare qualcosa, sia a livello caratteriale che a livello di gioco, ma non ho ancora un’idea fissa di allenare. È una strada talmente difficile, e complicata, e c’è talmente schifo, in giro, che a volte mi vengono dei dubbi. Diciamo che si devono mettere a posto tanti tasselli, perché accada; al momento non ho ancora basi su cui aggrapparmi, quindi non mi sbilancio. Non dico cose che potrebbero non accadere, perché – anche se mi sento portato – magari non lo sono”

A quale schifo ti riferisci?

“Credo che nel calcio, soprattutto per un allenatore, per arrivare a certi livelli devi passare attraverso tante raccomandazione e meccanismi che ti fanno pensare più di una volta a questa scelta. Ci sono tante situazioni un po’ strane che ti fanno chiedere “chi me lo fa fare”, poi vedi allenatori che conquistano tutto sul campo e ti viene voglia di provarci. Credo che queste cose accadano in ogni ambito lavorativo, ma nel calcio c’è un po’ più di “mafietta”. Chi è più agganciato riesce ad avere più possibilità, ma se non ce l’hai diventa dura: uno ci prova, poi non è detto riesca. Questa è la difficoltà. Vedo tanti allenatori molto bravi a casa, e altri che… non si sa perché siano lì”

A quali allenatori hai “rubato” di più?

“Tutti gli allenatori che ho avuto – anche i pochissimi con cui non mi sono trovato bene – mi hanno lasciato qualcosa su cui fare affidamento. Gli ultimi mi sono rimasti più in testa, naturalmente. So dell’importanza del lavoro sul campo, ma sto vedendo che anche caratterialmente devi essere forte. La parte caratteriale è molto importante, e l’allenatore deve avere queste due nature di tattico e psicologo. Ho incontrato allenatori che ne avevano solo una, il mio tentativo – nel caso – sarebbe di portarne un po’ entrambe. Io già adesso, in campo, sono molto rompi… pesante. Vedo il mister che è molto simile a me: a volte deve essere duro, a volte no; lui ci sta riuscendo bene, lavora bene sia coi giovani che con noi, questa è una capacità che vorrei far mia”

Sacchi era molto pesante, i giocatori non lo sopportavano, ma vinceva lo stesso.

“Sì…Dipende anche chi alleni e dove alleni. Se ti interfacci con giocatori già fatti e finiti è diverso: se un giocatore arriva in Serie A ha personalità e forza mentale, e se gli urli in faccia riesce a sopportarlo. Se alleni in una categoria come questa, dove ci sono molti giovani – che devono giocare per forza, e quindi servono – devi essere più attento: se urli a un giovane magari capisce, la prima volta, ma alla seconda-terza volta questo ha paura di entrare. La differenza tra un allenatore di Serie A e B, e uno di queste categorie, è soprattutto questa”

Cosa ne pensi delle regole sugli under?

“Che sono regole sbagliate. In Italia non bisogna mettere regole per far giocare i giovani, ma regole per riuscire a farli emergere. Con queste “leggi” giocano uno-due anni, magari non vanno neanche a scuola, e poi si ritrovano a non giocare più, perché erano in campo solo perché giovani. Arrivano a 22 anni che sono già vecchi, e non li vuole più nessuno. A pari livello è sempre meglio un giovane che un vecchio – perché può crescere, e magari lo rivendi – ma deve essere lo stesso livello. Ma se il livello non è lo stesso non esiste che giochi il giovane, questo non fa bene ai giovani in primis. A 23 anni un giocatore non è vecchio, con queste regole sì. Credo sia una regola fatta da chi non ha mai giocato e non ha mai fatto calcio, gente che questo sport l’ha visto solo dagli spalti.

Se un giovane è forte, gioca. A Perugia avevamo l’obbligo di schierare due under, ma ne avevamo quattro perché erano bravi e meritavano il posto. Giocavano per quello, com’è giusto: se uno merita, gioca. A 18 anni io già giocavo in c1, e giocavo perché l’allenatore vedeva qualcosa, in prospettiva, non perché si dovevano seguire le regole. Ai miei tempi doveva esserci un solo under, giocava il migliore e non inficiava nell’economia della squadra. Ora ne servono quattro, praticamente mezza squadra, e molti di questi non meriterebbero. Parlo in generale, anche perché noi – fortunatamente – abbiamo giovani validi”