“Oggi nell’area euro la svalutazione del lavoro è un ingrediente della ricetta della politica economica che viene raccomandata, non c’entra niente l’articolo 18″.

Stefano Fassina, ex sottosegretario all’Economia, Pd, 4 dicembre 2013. Qui “dettato” integrale, qui video di Radio Radicale.

“E’ così venuto alla luce un equivoco di fondo: se cioè il nuovo sistema (Sme/euro, ndr) debba contribuire a garantire un più intenso sviluppo dei paesi più deboli della Comunità, o debba servire a garantire il Paese più forte (Germania, ndr), ferma restando la politica non espansiva della Germania, spingendo un Paese come l’Italia alla deflazione”.

Giorgio Napolitano, allora presidente dei deputati del Pci, discorso alla Camera sull’ingresso dell’Italia nel nuovo Sistema Monetario Europeo, 14 dicembre 1978. Qui dettato integrale

“Se un paese o una regione non ha il potere di svalutare (ovvero è privo di una propria moneta e di una banca centrale autorizzata a stamparla, ndr), e se non è il beneficiario di un sistema fiscale di compensazione (trasferimenti di ricchezza dalle zone ricche a quelle povere, ndr), allora non c’è nulla che possa impedire che esso soffra un processo di declino cumulativo estremo che porterà, alla fine, all’emigrazione come unica alternativa alla povertà o alla fame”.

Wynne Godley, economista post-keynesiano inglese, “Sul Trattato di Maastricht”, 1992

Con il cuore leggero occorre chiedere, a tutti coloro che stanno protestando sinceramente (molti, ma non tantissimi) o strumentalmente (pochi ma importanti) contro la riforma del lavoro del governo Renzi, di capire che questa riforma, chiesta a gran voce da Bce, Commissione Europea e Fmi (la cosiddetta Troika) ma anche da tutta la stampa mainstream italiana, è una manovra obbligata per l’Italia che usa la moneta straniera oro-euro.

Ecco cosa scrive nei documenti ufficiali la Bce (qui link a Rapporto Annuale 2012, si legga pagina 66): “Quanto al mercato del lavoro, è necessario accrescere la flessibilità del processo di determinazione dei salari (leggasi: salari giù, ndr) in diversi paesi dell’area, ad esempio rendendo meno vincolante la normativa a tutela dell’occupazione, abolendo i meccanismi di indicizzazione dei salari, riducendo i salari minimi e consentendo le contrattazioni salariali a livello aziendale (…) Una sensibile, effettiva riduzione del costo del lavoro per unità di prodotto (…) è particolarmente urgente nei paesi dove l’elevata disoccupazione rischia di divenire strutturale e la concorrenza è debole”.

Non vi è infatti altra alternativa alle Austerità. L’unione monetaria europea che non prevede sostanziali trasferimenti di ricchezza dalle zone ricche a quelle più povere, rende obbligata – prima ancora che dai trattati e dalle raccomandazioni – anche la svalutazione del lavoro.

Se protesti contro la riforma del lavoro ma vuoi mantenere il sistema euro, equivarresti a chi ipoteticamente avesse protestato contro le leggi razziali senza contestare il fascismo, o contro l’invasione dei Sudeti senza intaccare però la dittatura hitleriana.

Con il cuore più pesante occorre dire che questo genere di contestazioni buoniste (contestare la riformina ma aver paura della sfida più temibile) non servono, sono quasi più dannose che utili. Perché saranno governate in massima parte da vertici indifferenti alla risoluzione del problema e anzi indiscibilmente legati alla loro creazione. E in questo modo, per l’ennesima volta, non consentiranno di comprendere l’origine dei problemi.