Renzi Badoglio? Non ce la può fare; si dovrebbe fare interprete di forze e pulsioni che non è in grado di percepire, prima di tutto, e poi di concepire in termini di azione: finora si è mosso in modo del tutto opposto al ruolo di un innescatore del 25 luglio! Renzi crede sinceramente che la spesa sia un “costo”, una passività (il grasso che cola, da tagliare) e realmente non sa cosa sia la domanda aggregata (cioè la “spesa solvibile” da chiunque effettuata, incluso lo Stato); crede sinceramente che il job act risolva la disoccupazione; chi gli sta intorno, e ha fatto dall’esterno la sua fortuna, gli ha detto così. 

Renzi salta se non garantisce più il consenso che ne giustifica il ruolo rigeneratore di un dominio ordoliberista, responsabile della rovina dell’Italia. Ma è anche l’unico che ANCORA poteva richiamare tale consenso: cioè la famosa ultima carta.
Non c’è un dopo-Renzi ordoliberista di riciclaggio ad infinitum… 
Gli italiani sono condizionabili, ma la disperazione non potrà essere canalizzata oltre un certo punto di “non ritorno”.
Luciano Barra Caracciolo, Orizzonte48

Ce lo hanno messo loro, anche se malvolentieri, confidando nel mix di berlusconite pop e soprattutto argine alla marea del Movimento Cinque Stelle, montante all’epoca contro il ritmo lento di Letta. Così il Pd, finalmente, dopo anni di istituzionalismo, mediazioni, mal di pancia, bianco e nero insomma, si è imbarcato in una avventura nuova: un po’ di nichilismo anti-costituzionale e barboso, telegenia, battute, giovanilismo, belle donne. Colorato come una psichedelia, ma senza droghe, solo il thè, o, il latte, da bravo ragazzo. Gianni Morandi 2.0.

Berlusconi pericolo numero uno della democrazia, ha tre televisioni con le quali manovra l’opinione pubblica? Nessun problema, accordo con lui e riforme costituzionali. La Costituzione non si tocca? Macché, via il Senato. E via discorrendo, col piacere di crederci “perché lo vuole Matteo”, sostituendo ad una chiesa (la Costituzione dei girotondini, oggi liquefatti e proni) un’altra chiesa, riscoprendo sempre la stessa natura italiana, a destra o sinistra che si pensi di essere: l’ammassamento, l’assenza di critica, il consenso vile perché nell’ombra, pronto poi a trasformarsi in aperte pugnalate alle spalle non appena il vento cambierà.

Matteo, però, ha un difetto che è il suo attuale (già passato?) punto di forza. Con abili doti da politicante pop arriva a prendere il 41% alle elezioni europee. La trovata degli 80 euro è geniale e pesa nelle tasche di milioni di italiani che riversano in massa la loro preferenza al partito di Renzi, indipendentemente dal fatto di sentirsi vicini o meno al Pd. La razionalità dei vincoli di bilancio imposti dalla Bce, dalla Commissione Europea, dal Fmi (presente dentro il governo italiano grazie al commissario Cottarelli oltre che con il ministro Padoan) oltre che dai rivali tedeschi e nordeuropei, fa facilmente comprendere come quella mossa non sia in grado di incidere granché nella crisi italiana a chiunque abbia almeno il diploma di licenza media inferiore e voglia approfondire 10 minuti la situazione.

Ma a breve termine, e giocando sulle passioni istintive, ha successo: la sua riformite (una “riforma al mese”, sigh) serve a creare l’effetto post-moderno dell’azione continua anche quando si sta fermi o, peggio, si fa danno perché si agisce seguendo i sondaggi, nemmeno il cuore, giammai la testa. Agli italiani interessa che arrivi qualcuno che faccia qualcosa, perché, bombardati da tv e giornali, pensano che l’Italia va male perché “non si fanno le riforme” (quali? Cosa? De che?). Invece è il contrario: se ne fanno anche troppe, tutte a loro danno, da anni.

Ogni medaglia ha il suo rovescio e il 41% ha il rovescio nella necessità di mantenersi ad alti livelli di consenso: ora il Pd cade nelle sue mani, persino Fassina, in una delle sua fasi schizofreniche, parla di “uomo giusto al momento giusto”. Può fare la guerra, andare o non andare a Cernobbio, tagliare le pensioni o la Sanità: nel Pd tutti aspirano ad un posto a Roma o in Regione o nel comunello, quindi stanno zitti perché “l’ha detto Matteo”.

Ma quel 41% ottenuto con la promessa degli 80 euro deve essere mantenuto. E l’Italia, come qualsiasi paese, non si governa con gli slogan. Lo dicevo ad un “renziano della prima ora”, il giovane sindaco di Monteprandone Stefano Stracci, proprio nei primi giorni di questo governo. L’entusiasmo giovanile – si fa per dire – di Renzi è stato subito arginato da un uomo di strafiducia della Troika, suggerito da quel galantuomo di Napolitano, messo nell’unico dicastero che conta (gli altri, sono maquillage): Pier Carlo Padoan all’Economia.

Rispondevo all’entusiasmo del sindaco: “Puoi ammalarli di riformite quando volete, gli italiani: ma se a fine anno nel portafogli ci sono meno soldi di quanti ce ne erano ad inizio anno, lì non si bluffa. Salti in aria”.

Si apre quindi un discorso molto ampio su Renzi e sul dopo-Renzi, ma quel che è interessante notare è come, contro l’attuale Presidente del Consiglio, si sia scatenato, prima in maniera un po’ sotterranea ma già negli ultimi giorni con il rullo di tamburi furibondo, l’attacco dei trombettisti del Vero Potere italiano, che altro non sono che i vaticinanti del “vincolo esterno”: autorazzisti, non ritengono gli italiani in grado di governarsi e quindi li valutano un sub-popolo e preferiscono che a gestirli siano poteri esterni, all’apparenza puliti. Con loro il neoliberismo da astrazione utopica diventa concretezza: commissari non eletti onniscienti e lontani dalle zozzerie popolane, tecnicismi per gestire l’ingovernabile democrazia italiana, l’oro (euro) come vincolante sistema di limitazione sociale.

Potere del vincolo esterno che Renzi non sta attaccando – si badi bene – e anzi blandisce, ma che è così anti-democratico e anti-popolare da essere totalmente contrapposto al 41% e alla sua retorica, ovvero al consenso necessario per vincere le elezioni. Ovvero alla democrazia rappresentativa e costituzionale.

Non è un caso che i punti di svolta, una volta liquidata la Prima Repubblica, sono stati affidati a governi tecnici e quindi estranei dal bisogno di consenso, come quelli di Amato (1992) e Ciampi (1993), che firmarono il Trattato di Maastricht vincolando l’Italia a sacrifici decennali e suicidi, quindi Monti e seguenti, nessuno dei quali eletto, i quali hanno applicato le Austerità europee. Lo stesso Prodi viene individuato come un tecnico al servizio della politica, e non un politico alla Veltroni o D’Alema. Nel mezzo, Berlusconi, il quale rappresenta il prototipo del governante all’italiana: un filo diretto tra lui e il popolo, senza mediazioni burocratiche e politiche, attraverso mamma televisione, mezzo sostituito negli ultimi anni dalla Rete (Beppe Grillo). Renzi è nello stesso filone: ecco perché, alla ricerca del consenso del “popolo”, finge di essere un rivoluzionario e non va a Cernobbio (che tristezza: i potenti si sfidano nel nome di una nazione che si rappresenta, non si va a fare il populista vero nelle fabbriche a dire “sto con chi si spezza la schiena”, senza essersela spezzata un giorno), ecco tutta la retorica anti-casta e anti-Palazzo.

Renzi dunque rischia di essere pericoloso, non per quel che dice (è purissima propaganda) ma perché se alle prossime elezioni le preferenze per il suo partito scendessero ad un pur rispettabile 30-35%, sarebbe la certificazione di un tonfo che, a 40 anni, non si può permettere pena la sua giovanile fine politica (ovviamente esistono mille poltrone di prestigio ma insignificanti politicamente con le quali potrà essere ricompensato). Dunque ha bisogno di consenso. Ed è vero che, berlusconite e annuncite insegnano,  il consenso immediato te lo dà la riformite, la costante presenza in camisa blanca, il finto dinamismo, le battute da canaglia.

Ma poi servono gli sghèi. I soldi.

Non è che la Dc e i suoi alleati abbiano governato per 40 anni, pur in presenza di un fortissimo antagonismo politico e sociale, soltanto grazie alla paura dell’Unione Sovietica. No. Ce l’hanno fatta perché il sistema istituzionale e ovviamente internazionale le garantiva la possibilità di governare i fortunali ma anche le tempeste (esempio shock energetici degli anni Settanta) commettendo sicuramente molti errori, latrocini e corruzioni, ma alla somma di quanto realizzato il sistema donava benessere diffuso alla collettività intera, sia nella miriade di piccole e medie imprese attive, creative e dominatrici dei mercati internazionali, sia per quanto riguardava il proletariato, assistito nella trasformazione in piccola borghesia, con sanità gratuita, pensionamenti, assunzioni pubbliche, ferie riconosciute. Andava bene anche all’1% del grande capitalismo al tempo fordista (oggi finanziarizzato), ovviamente.

Nel 1992 l’onda neoliberista iniziata alla fine degli anni ’70 nel mondo e avviata in Italia da Ciampi e Andreatta, assume il potere dello Stato italiano. E’ il periodo successivo alla caduta del Muro di Berlino nel quale i nostri governanti ed editorialisti ripetevano: “Adesso non abbiamo più gli Stati Uniti che ci proteggono, dobbiamo fare da soli“. Il debito di Stato, da elemento contabile di scarsa rilevanza nel determinare il benessere di una comunità (anzi, è la sua vera fonte di ricchezza), viene individuato come rappresentante principe dei problemi nazionali. Con il “vincolo esterno” (euro) diviene un debito di natura privata da ripagare, ricatto per disciplinare i cittadini. Tutti i governi che si susseguono devono intraprendere politiche di austerità, ovvero essere impopolari, ovvero ridurre la spesa dello Stato e aumentare le tasse: altrimenti si è fuori dall’euro.

Quindi significa che i governi non riescono più a dare benessere alla collettività, ma, al massimo, a singole porzioni della stessa, e sempre a scapito di altre. Ma gli accordi che vincolano i bilanci pubblici e l’euro, moneta studiata per favorire le imprese tedesche a discapito di quelle italiane (l’euro agisce da marco svalutato in Germania e da lira iper-valutata in Italia, bloccandone la naturale fluttuazione riequilibratrice, senza citare i vincoli di Maastricht), impediscono poi persino di attuare politiche che favoriscono determinate categorie sociali: tutti devono pagare (oramai siamo a circa 800 miliardi di euro dal 1992 di tasse pagate in nome dell’Unione). I governi berlusconiani se la cavano leggermente meglio perché allentano le corde del bilancio (nel 2010, per la prima volta dal 1992, gli italiani pagano tasse per lo stesso ammontare della spesa pubblica) e quindi del “vincolo esterno”, ma, tanto per far le cose per bene, di ogni vincolo: morale, legale, costituzionale. Così facendo una parte di Italia galleggia, ma solo per qualche anno. Tuttavia i governi che si susseguono, di destra o sinistra, affondano ad ogni consultazione elettorale: dove la Dc era durata 40 anni ininterrottamente, la Seconda Repubblica è un pianto continuo per i partiti di governo.

Ed ecco, dopo che Renzi ha ridotto il M5S – usandone le sue parole d’ordine, ovvero Casta Corruzione e Gioventù – a mero partito di contestazione con zero possibilità di governo, i trombettisti del Vero Potere italiano hanno intuito che Renzi va ridimensionato. Semplicemente non gli si può consentire di avere successo perché, non potendo ottenerlo a livello economico (è impossibile con questi vincoli), un giorno potrebbe usare il consenso di cui dispone per far saltare il banco (solo teoricamente perché non ha la cultura necessaria a comprendere come agire).

Per Luciano Barra Caracciolo Renzi non ha né la cultura né le capacità per comprendere cosa sta accadendo, quali sono le cause e come risolvere i problemi. E su questo vi sono pochi dubbi. Non vi sono dubbi inoltre che lui stia eseguendo, fino ad ora, proprio ciò che il Vero Potere vuole (sostanzialmente, una sola cosa: ridurre salari e stipendi in modo da ridurre il costo delle merci e rendere l’Italia un luogo migliore per gli investimenti esteri delle multinazionali. Si chiama cinesizzazione) e si sta circondando di collaboratori che stanno al neoliberismo eurista come i gerarchi stavano al fascismo: contigui e incapaci di pensare soluzioni diverse da quelle nella quale sono cresciuti e hanno ottenuto ricchezza e onori.

Dunque Renzi non sarebbe il Badoglio che, machiavellicamente, sottrae l’Italia dal destino ventennale e ne prepara, goffamente, il futuro. E però è destinato allo schianto come un autista che è sì alla guida del mezzo, ma non ha freni né il comando del volante. 

Arriva a questo punto un attacco dapprima a fuoco lento ma nelle ultime settimane a fiammate cocenti che ha inizio con un editoriale dalle Mille e Una Notte di Eugenio Scalfari, il vincolista esterno per eccellenza forse in ricordo della gioventù fascista (un vincolo, quello, interno): “Forse l’Italia dovrebbe sottoporsi al controllo della troika internazionale formata dalla Commissione di Bruxelles, dalla Bce e dal Fondo monetario internazionale“, scrive il 3 agosto.

Quello è il segnale: da allora Renzi è passato da essere rappresentato come-il-giovane-pulito-happy-days-con-camisa-blanca-che-risolve-i-problemi a incapace-parolaio-incolto. Prova certificata dal sondaggio di Repubblica che ad inizio settembre lo descrive, tramite Ilvo Diamanti, ancora come il numero uno in campo politico ma con fiducia personale in calo di 15 punti rispetto a giugno. In pratica un numero uno in vista del tracollo.

Arrivano poi altre legnate amiche:

D’Alema dalla Festa dell’Unità parla di “risultati non soddisfacenti” appena il 3 settembre (qui video).

– lo stesso Scalfari, il 31 agosto, etichetta Renzi quale “Pifferaio” e parla di Draghi come “l’unico che ci può salvare dalla deflazione”.

– il giornalista Massimo Gramellini, su La Stampa, giornale di riferimento di Torino e della famiglia Agnelli, stronca Matteo Renzi nell’articolo (pur mirabile) “I giardini di Renzi” (30 agosto).

– il 3 settembre Roberto Napoletano, direttore de Il Sole 24 Ore, pubblica una lunga intervista a Renzi, nella quale l’ex sindaco di Firenze risulta persino simpatico di fronte ai reiterati attacchi di Napoletano il quale, in definitiva, chiede una sola cosa: svalutare salari e stipendi degli italiani il prima possibile (cinesizzare, in pratica).

– le bordate dell’ex presidente della Commissione Europea Barroso in una intervista a La Stampa dell’11 settembre: “C’è un po’ di scetticismo sulle riforme annunciate perché dopo Monti il tasso di attuazione è stato basso“.

– Il Corriere della Sera non è da meno, e il 14 settembre, attraverso Ernesto Galli Della Loggia si arriva a mettere Renzi con le spalle al muro: “Altrimenti prima o poi gli si aprirà davanti la stessa via percorsa da Berlusconi: che era tanto simpatico, tanto accattivante, vinceva le elezioni, ma alla fine non ha combinato nulla che meriti di essere ricordato”.

– Addirittura Roberto Saviano su L’Espresso di Carlo De Benedetti il 10 settembre copre di critiche il Presidente del Consiglio, qui.

– Più dura di tutti Lucia Annunziata sull’altra costoletta di Repubblica, l’Huffington Post, che il 1° settembre sommerge Renzi con una coltre di feroci stroncature.

Ora, questi sono soltanto pochi esempi, ma l’accerchiamento si sta compiendo ed è sempre più crudele. Non ho simpatia per il governo Renzi, lo reputo senza coraggio e armato, quando non di inganno (Padoan) di sostanziale ignoranza e stupidità (solo un ignorante e stupido non avrebbe capito che l’aumento delle tasse e la restrizione della spesa pubblica avrebbe avuto effetti deleteri sull’economia, e infatti la debole ripresina di Letta è ritornata recessione: e chi non capisce questo a-b-c di base non può che far sprofondare il Paese peggio di chi è malintenzionato).

Ma il peggio della sceneggiata non è da rintracciare nel collasso del governo Renzi laddove, sui dati economici, questo era ovviamente preventivabile (le previsioni del governo sono di 4 mesi fa, non un secolo fa, e sono tutte fuffa di già), ma nel volgare voltagabbana della stampa, dei leader, delle élite del Paese, che in pochi mesi lo hanno dapprima acriticamente elogiato e dipinto come un salvatore della Patria, ed ora lo contestano ben oltre i risultati.

Ad esempio:

4 maggio, De Benedetti (presidente gruppo Repubblica-L’Espresso) dice di Renzi “è l’unico leader spendibile” (qui video).

– lo scorso 20 aprile per Scalfari Renzi era una sveglia, uno squillo di tromba in un disperato silenzio di sfiducia e di indifferenza“.

– appena lo scorso 11 agosto (un mese fa!) Galli Della Loggia scriveva che le élite italiane lo avversavano per la forte ambizione riformatrice di Renzi e il suo piglio” oltre che dalla palese indifferenza del presidente del Consiglio per i “venerati maestri” dal suo mancato omaggio alla loro persona, nonché dalla sua evidente “avversione per le pratiche di cogestione-lottizzazione-influenza tipiche di tale élite specie in istituzioni pubbliche come la Rai, l’Università e tante altre“.

Il problema è che né Saviano, né men che mai Scalfari, o De Benedetti o Della Loggia o Napoletano o D’Alema, hanno lo straccio di una soluzione, e difatti neppure si avvicinano, per incompetenza (Saviano) o per astuzia (tutti gli altri) al cuore del problema. Il problema, per loro, non esiste, è altro dal reale. Nelle loro critiche infatti è continua la vuota ossessione della necessità di “riforme strutturali”, ovvero di azione dettata dall’europeismo finanziario del quale ripetono noiosi ritornelli di inutilità. In realtà criticano il governo perché troppo morbido (ovviamente senza affermarlo palesemente) nella realizzazione del mercato perfetto dove i salari e gli stipendi scendono fino al punto in cui si raggiunge una parvenza di piena occupazione schiavistica. Un baffo a Von Hayek e Friedman.

Bisogna leggere le dichiarazioni e i documenti firmati da Mario Draghi e la sua Bce, unica istituzione reale in campo, oltre che l’unica in grado di decidere se mantenere in vita o sopprimere governi e Stati, per capire qual è la posta in gioco. Nel bollettino di settembre, a pagina 93, si elencano le situazioni di Francia, Italia e Spagna. Per la Francia la Bce scrive che “il governo francese ha indicato di recente che l’obiettivo di disavanzo per il 2014 (3,8 per cento del PIL) verrà ampiamente disatteso“. Per l’Italia invece “persistono i rischi per il conseguimento dell’obiettivo di disavanzo pubblico per il 2014 (2,6 per cento del PIL)” quindi “è importante rafforzare ulteriormente le politiche di bilancio” (sigh). Per la Spagna “appaiono conseguibili l’obiettivo di disavanzo per l’anno in corso (5,8 per cento del PIL)”. Oltre il doppio rispetto all’Italia. Nessuna richiesta di manovra, correttiva, nessuna richiesta del “3%”. Perché?

Perché in Spagna hanno fatto le “riforme strutturali”, ovvero i lavoratori si devono accontentare di paghe da fame, la disoccupazione resta record, e allora la Troika ha allentato i vincoli accettando una riduzione della tassazione che va principalmente a beneficio delle grandi imprese straniere che stanno investendo in Spagna grazie al mix di tasse basse, infrastrutture efficienti e lavoro cinesizzato. Tutto orientato all’export, poco alla ricchezza interna.

Ed è quello che stanno dicendo a Renzi: vendi Enel ed Eni, taglia la spesa pubblica, alimenta ancora la riserva di disoccupazione e sottoccupazione, fai un “job act” alla Hartz, e allora vedrai come potrai avere quei 40-50 miliardi in deficit che adesso ti facciamo solo odorare. Tutto questo, si badi bene, porterà ad una uscita dalla recessione soltanto effimera: i profitti andranno all’estero o all’élite produttiva, la domanda interna continuerà a diminuire, le piccole imprese per il mercato nazionale continueranno a soffrire, l’immissione di denaro in deficit avverrà con moneta a debito e non pubblica o garantita dalla Banca Centrale (in pratica i profitti per le multinazionali sono finanziati indebitando, davvero, le future generazioni).

Ora, Renzi si trova in questa situazione: o fa quel che chiede la Troika in maniera pedissequa, ma in questo caso, tra tagli allo Stato e cinesizzazione del lavoro, dovrà per sempre dire addio al 41% e quindi, in futuro, essere sempre un politico indebolito e destinato alla sconfitta elettorale; oppure tergiversare e continuare con la riformite, e quindi essere presto obbligato a dimettersi a causa di risultati economici sempre peggiori e ingiustificabili (poiché non vi può essere salvezza con l’Eurozona).

La terza opzione, ovvero un Renzi che capisce la trappola e sappia come uscirne, sembra impossibile da realizzare; perché dovrebbe licenziare tutti i suoi collaboratori e assumerne altri del tutto opposti; perché chi dice queste cose manifesta una totale mancanza di cognizione che non vada oltre al bignamismo, e la cultura non si acquista alla Ruota della Fortuna.

Dunque entro pochi mesi l’Italia sarà definitivamente commissariata, per la felicità di Scalfari e di Draghi: o attraverso un Renzi ridotto ad esecutore diretto e manifesto molto più che negli scorsi mesi, o attraverso un nuovo Monti che, non potendo avere subito il volto di Draghi, potrebbe essere un Amato (papabile anche come successore dell’eterno Napolitano) o un D’Alema (entrambi garantirebbero l’appoggio di fatto anche di Berlusconi, anche se entrambi hanno un volto usurato dall’esposizione mediatica: è l’unico vantaggio di Renzi) o un loro compare. Ma ci potrebbero essere altre soluzioni tecniche.

Il nuovo governo, in cambio di ulteriore taglio della spesa pubblica (sanità, istruzione, pensioni, investimenti), aumento Iva, deregolamentazione del lavoro e privatizzazione del poco rimasto otterrà dalla Troika lo sforamento (=indebitamento) desiderato, e quindi attutirà la sferzata violenta delle austerità con l’immissione di decine di miliardi di euro nell’economia italiana. Una boccata di ossigeno per il moribondo.

LA NOTA POSITIVA C’è un solo aspetto positivo al naufragio prossimo imminente: la flebile speranza che tutte le opposizioni, vere o effimere, acquisiscano gli strumenti per comprendere le dinamiche descritte e la smettano di far sceneggiate anti-Casta (M5S), di raccogliere firme contro il Fiscal Compact mantenendo l’euro (la sinistra tsipriana incomprensibile) o che si chiuda in un patriottismo austero, duplicato peggiore dell’originale europeo (qui Giorgia Meloni).

Oppure che nascano nuove forze in grado di subentrare, con coscienza, rispetto alle attuali indecisioni.