La Bce ha ridotto i tassi allo 0,05% dal precedente 0,15%: siamo al minimo storico.

La decisione è stata presa per due motivi (nelle intenzioni): diminuire il costo dei prestiti che famiglie e imprese richiedono alle banche e così aumentare la quantità di denaro circolante, in modo da aumentare l’inflazione; e agevolare consumi e investimenti.

Questi due obiettivi non saranno raggiunti. Ce lo spiega la lunga serie di tagli al tasso della Bce targata Draghi, che non hanno sortito effetto né sul Pil né sul tasso di inflazione. Anzi via via (non solo e direttamente per questa scelta, ovviamente) i dati sono peggiorati.

Non sortiscono effetto per questo motivo:

a) se l’economia reale è in crisi, le banche sono costrette a frenare i prestiti alle imprese e alle famiglie non in grado di fornire le opportune garanzie rispetto alla richiesta di un prestito. Una impresa coi conti in rosso o una famiglia che è già indebitata (nel periodo dell’euro i risparmi sono crollati mentre l’indebitamento è salito del 140%) non possono usufruire dei prestiti bancari qualunque sia il tasso applicato. Contrariamente, la diminuzione dei tassi in una economia in fase espansiva ovviamente agevola la richiesta di prestiti (è quanto avvenuto in Europa nei primi anni dell’euro, provocando una bolla finanziaria esplosa gravemente in Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia).

b) la diminuzione dei tassi si ripercuote anche sulla diminuzione dei rendimenti attesi da parte di chi possiede un risparmio. Dunque una riduzione del reddito e dunque minore capacità di consumo.

Non vi è alcuna politica monetaria in grado di modificare il collasso storico europeo. L’unica politica è di natura fiscale: riduzione delle tasse e aumento investimento pubblici con aumento dei deficit di bilancio garantiti dalla banca centrale e quindi non attraverso il sistema dell’indebitamento degli Stati con le grandi corporation bancarie mondiali.

Questa scelta è avversata e sempre lo sarà dalla Germania. Buona fortuna.