A fine marzo si è avuto l’esito di un concorso di architettura  con il titolo: ”Concorso di idee per la riqualificazione e valorizzazione del waterfront di Gabicce Mare denominato “trame urbane della città del mare”.

Quello di Gabicce è solo l’ultimo di una serie di concorsi e iniziative che sono cominciate orientativamente in Italia (ma in tutta Europa si stanno riqualificando gli affacci al mare, come per esempio Barcellona che lo sta facendo ininterrottamente dagli anni ’80) con il ripensamento del porto di Genova nei primi anni ’80 e delle sue Colombiadi nel 1992  sul territorio nazionale e che è continuato per esempio con una sezione dell’edizione della biennale di Venezia del 2006 dedicata alla competition “Città Porto” dedicata ad architetti sotto i 40 anni.

Il motivo di tanto fermento in Italia è presto spiegato: abbiamo circa 7500 chilometri di coste, che non sono mai un semplice affaccio a mare, ma un’interfaccia tra il mare e la città, che hanno un’identità plurale di funzioni e che potenzialmente hanno la possibilità di diventare alimentatori della qualità urbana.

Questo lo ha capito molto bene il piccolo comune (quasi 6000 abitanti) nel Pesarese, che già dai primi articoli del bando evidenzia una forte volontà attraverso il lungomare di riqualificare anche parte della città e che cita: ”L’ambito interessato dal concorso dovrà rappresentare il luogo urbano e il tessuto edilizio in cui innescare processi di rivitalizzazione economica, sociale, culturale e ambientale, attraverso la valorizzazione e riqualificazione del sistema delle connessioni viarie in generale e del relativo tessuto urbano esistente. L’obiettivo finale del concorso di idee è di acquisire una proposta ideativa, che definisca il “master-plan della città del mare” , la sistemazione futura del contesto e delle diverse aree che lo compongono, con lo scopo di consentire all’Ente Banditore le successive progettazioni urbane di dettaglio e/o gli specifici appalti concorso. L’ottica delle proposte ideativa è finalizzata ad ottenere un’area fortemente attrattiva e di alto significato urbano, che costituisca la parte finale “esclusiva” (per l’alto valore paesaggistico e ambientale del contesto) della promenade di Gabicce Mare, che a partire dal piazzale del turismo, “Porta della Città” e barriera del traffico veicolare nel periodo estivo, si snoda in un articolato percorso, dove l’acqua rappresenta la costante naturale, a partire dal lungo-darsena, proseguendo sul lungo-porto e concludendo sul lungo-mare, con una continuazione naturalistica ideale adiacente la falesia del monte San Bartolo, per arrivare fino alla baia di Vallugola.

Dal bando e dagli elaborati del concorso si evince la volontà di ridare più valore al rapporto cittadino-mare, così si notano nei vari elaborati anziani che passeggiano, bimbi che giocano, pattinatori, ciclisti, diverse situazioni di piccoli chioschi e aree dedicate al divertimento a pochi metri dalla spiaggia e nelle diversi momenti della giornata e dell’anno.

Leggendo attentamente il bando e riflettendo sulle tavole dei vari progetti, emergono soprattutto due considerazioni:
– Il concorso visto come opportunità uscendo dagli schemi di una progettazione locale che troppo spesso ha la “matita” con i paraocchi.
– Il concetto di riappropriarsi di un valore come quello del rapporto con il mare in qualsiasi stagione e per qualsiasi utenza, troppo spesso infatti alcune progettazioni dedicate al turismo sono per loro natura dedicate ad una utenza ben specifica, mentre ci si dimentica spesso che la città vive soprattutto nel periodo invernale anche per merito di chi ci abita.

La prima considerazione, quella dei concorsi di architettura come opportunità, è sicuramente un valore aggiunto per la città che vuole attraverso l’architettura e l’urbanistica trasformare la propria immagine e dare un indirizzo economico futuro, ma per questo occorrono due condizioni obbligatoriamente necessarie:  redigere un buon bando di concorso e avere una giuria di qualità che giudichi i progetti.

La seconda considerazione, racchiude il concetto di utilizzo nel tempo. Oggi più di ieri una cosa non utilizzata è una cosa che in qualche maniera perde valore e quindi denaro in relazione all’investimento iniziale. In architettura e urbanistica questo concetto è ancora più vero, avere un progetto finalizzato solo al periodo stagionale di punta significa avere un progetto che non funziona e non risponde alle esigenze delle varie utenze, quanto meno risponde solo a una bassissima percentuale di utenza.

Cosa occorre quindi per non far “morire” un progetto, occorre che questo sia flessibile, dinamico, capace di percepire con anticipo le dinamiche evolutive della città.

Questo è quello che è avvenuto per esempio nell’isola pedonale (viale Secondo Moretti) di San Benedetto del Tronto, passando da strada carrabile prima a isola pedonale già da qualche anno. L’errore che però molti fanno è quello di attribuire a una riqualificazione urbana il merito della rinnovata vitalità che ha in tutte le stagioni e ore della giornata quel pezzo della città. I motivi sono altri e ben più profondi: il modificarsi delle abitudini dell’utenza nell’acquistare, passando dalle statiche piazze ai più dinamici percorsi per le vie della città, il creare un museo aperto e fruibile al pubblico con le varie sculture, l’offerta varia a qualsiasi ora (o quasi) del giorno, che fa sì che diverse utenze vivano il centro.

Quello che è avvenuto per volontà o per caso fortuito in centro a San Benedetto del Tronto, non è possibile riscontrarlo in altri luoghi della città come il lungomare dove è evidente la linea di separazione e la non integrazione tra waterfront e città, tanto più che alcuni tratti in estate sono super affollati come la parte sud di Porto d’Ascoli e quella nord di San Benedetto del Tronto, grazie a una serie di funzioni e altri praticamente deserti come il tratto che va dal campo Europa a quello di via Monfalcone abbandonati a sé stessi.

Questa barriera non solo fisica ma anche sociale è ancor più evidente, nel tratto di lungomare che costeggia il molo sud all’altezza del viale delle Tamerici, una delle parti più belle a mio avviso della città dove si può scorgere contemporaneamente sia la costa a sud che quella di Grottammare a nord, ma che è lasciata al transito carrabile  (di passaggio) per la maggior parte del tratto stradale e a quello ciclopedonale (che invece è di passeggiata e sosta) in unica sede, dove spesso si manifestano situazioni di “frizione” e “attriti” tra ciclisti e pedoni essendo la sezione molto esigua.

Proprio tornando al concetto di uso degli spazi nel tempo, analizzando bene quell’area, è possibile notare che sia in inverno che in estate viale Buozzi (la strada che dal lungomare porta alla Rotonda Giorgini) non è usato per il 95 % del tempo: molti credono, come per l’isola pedonale, che questo stia avvenendo perché non è riqualificata, ma la causa è da trovare sicuramente in una zona con poche attrattive; inoltre con il bel lavoro di pedonalizzazione e riqualificazione dei giardini in viale delle Palme (che parte dalla Palazzina Azzurra, in parallelo con viale Buozzi), più che sufficiente a sopportare il flusso di passeggiate sia in inverno che in estate (la pedonalizzazione di viale Buozzi in questi termini sarebbe una superflua ripetizione), si potrebbe ipotizzare la riapertura di viale Buozzi al traffico automobilistico e ripristinare il vecchio lungomare carrabile, chiudendo ad est viale delle Tamerici e Marinai d’Italia, avendo così i seguenti benefici: i giardini e le pinete di viale delle Palme usati a pieno e quindi meno soggetti ad azioni vandaliche, la circolazione automobilistica molto più fluida e veloce non passando più per il centro del porto, dove ora spesso il traffico carrabile si incrocia con le grosse gru impegnate nelle manovre di alaggio delle navi. Con questo assetto la parte verso est riavrebbe un ruolo principale di affaccio “a mare” della città che ora non possiede, come evidenziato nelle immagini.

Sicuramente molte dinamiche dello sviluppo della città non sono prevedibili, ma dare delle “linee guida” attraverso un bando di architettura e fare delle analisi sul grado di utilizzo di un bene, una struttura o infrastruttura pubblica, aiuta a minimizzare il pericolo di abbandono e degrado di pezzi della città che vivono solo in alcuni periodi e che spesso confinano con la città che invece vive tutto l’anno, creando una vera e propria linea di separazione invece che di relazione, finendo per contaminare anche la qualità di quest’ultima.