SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Non era facile e forse nemmeno consigliabile concepire un avvio di Festival con componenti musicali in così stridente contrasto e tentarne poi un amalgama da alchimizzare direttamente nel cuore e nella mente, nello spirito e nell’anima di quelli che ne saranno i fortunati spettatori.

Infatti, alla musicalità dolce e suadente proposta dal Trio di Enzo Nardi col suo penetrante omaggio al cantautore di rango cui va quest’anno la Targa Ferré, quel Georges Moustaki dalla leggendaria faccia da straniero, fa seguito l’irruzione dirompente dei dodici talentuosi musicisti della Med Free Orchestra sull’onda armonicamente variegata di un rock etnico che non teme di sfidare sia la parte più brillante del canzoniere di Léo Ferré che quella più iconoclasta del repertorio di Boris Vian, di cui si faranno interpreti originali e scapigliati.

Per finire con la sfida più azzardata, ai limiti della temerarietà propositiva: far rivivere un concerto mitico, quello tenuto da Léo Ferré al Teatro Bobino nel 1969, quando con il suo genio creativo seppe dare voce orgogliosa e dimensione astrale alle parole di fuoco che erano ancora lì a vibrare sui muri caldi del mese di maggio del 1968: amore e anarchia, fantasia e rivendicazione, ironia e tenerezza, speranza e furore, in una miscela esplosiva di poesia e musica che non ha smesso mai di risuonare nei cuori di chi vi fu stregato spettatore. Ebbene, Michel Hermon abbattendo le frontiere del tempo, è riuscito nell’intento di risuscitare, in un’ora e un quarto di puro piacere, quel Léo Ferré profetico e magistrale, e dopo aver proposto trionfalmente il suo recital a Parigi, eccolo proporlo a un pubblico in gran parte ignaro di quell’evento ma con i parametri estetici e culturali giusti per degustare un così superbo miracolo rievocativo.