SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Anche se tratta di una persona scomparsa il 17 ottobre scorso, questo è un vero e proprio disappunto e tra i ‘responsabili’ ci metto anche Riviera Oggi.  Elio Matassi uno dei filosofi più conosciuti in Italia e all’estero, direttore del Dipartimenti di Filosofia3 a Roma, è morto a Roma ma era nato a San Benedetto del Tronto il 22 settembre 1945. E non per sbaglio o perché i suoi erano di passaggio ma sambenedettese purosangue. Nella nostra città ha frequentato elementari, medie e liceo, il suo papà aveva una nota falegnameria sulla statale 16 nei pressi di via Carducci. Ha sposato una sambenedettese, la sorella di Federico, Franco e Urbica Romandini. La famiglia fondatrice della RCR, affermata ditta di materiale elettrico in via Calatafimi fino agli anni novanta.

Ho due rammarichi nei suoi confronti: non averlo mai intervistato (su Riviera Oggi è comparso il 6 Luglio 2013 per un ciclo di appuntamenti culturali tenutosi a Grottammare presso il caffè Pineta: http://www.rivieraoggi.it/2013/07/05/168474/pensare-il-calcio-con-il-filosofo-elio-matassi/) e non averlo ricordato il giorno della sua morte. L’intervista l’avevo in programma ma non ho fatto in tempo, ho saputo soltanto ieri della sua morte per puro caso e perché era stato mio compagno per cinque anni alle scuole elementari. Me lo ha detto Luigi Vallesi, anche lui della stessa classe, che ho incontrato davanti al negozio Il Campione: “Sai chi ci ha lasciato?” Sapevo di Saverio Nico, di Nazzareno Romandini, di Nazzareno Re e a loro ho pensato. “Strano che non lo sai, Elio Matassi, lo hanno ricordato Repubblica, il Fatto Quotidiano e altri ma, purtroppo, nessuno a San Benedetto”. Oltre al normale dispiacere mi sono sentito in colpa per non averlo saputo, tanto è che gli ho subito chiesto se era successo in settimana. Addirittura qualche mese in un mio DisAppunto mi domandai per quale motivo un personaggio così non aveva mai ricevuto riconoscimenti nella sua città di origine: il premio Truentum, per esempio, lo avrebbe, secondo me, meritato.

Di lui ho nitidi tre ricordi: a scuola era il più bravo insieme a Trevisani, un altro sambenedettese (erano vicini di banco e di casa) che si è fatto onore a livello nazionale: nel 1997 alla festa per i quarant’anni della licenza elementare che organizzammo presso il ristorante  Calabresi in onore di quel grande insegnante che fu Tonino Pandolfi, non poté intervenire ma durante la cena si fece sentire con una telefonata da Roma della quale il maestro fu felicissimo, ricordo anche che di 40 alunni mancavano lui, Fernando Bianco e Nicola Marchegiani. L’altro ricordo è recentissimo. Risale a pochi mesi prima il suo decesso. Un altro compagno di classe, Giampiero Gaetani, il 10 novembre 2012 mi invitò a partecipare ad un incontro  organizzato dalla Fondazione Abruzzo Europa (FAE) della quale è vice presidente, in occasione dell’apertura della nuova sede a Martinsicuro e di un evento SQUADRE VINCENTI, dedicato all’imprenditoria . Tre gli ospiti d’onore: il giornalista Rai Arnaldo Colasanti, Mario Picchio, presidente Roland Europe e appunto Elio Matassi. Un impegno famigliare mi impedì di partecipare. Mi dispiacque molto perché avrei rivisto Matassi dopo tantissimi anni e avrei potuto parlare con lui della ‘nostra’ Inter della quale era anche uno studioso. (Un particolare che non c’entra ma che mi piace infilare in questo ricordo: in quella classe tutta sambenedettese di ‘nati nel 45’ molti sono i tifosi interisti e, non ci avevo mai pensato prima, la ‘colpa’ potrebbe essere del compianto maestro e giornalista cuprense (era il corrispondente del Corriere dello Sport), Tonino Pandolfi.

Ecco come lo hanno ricordato, il giorno dopo la sua morte, Repubblica e la Fondazione FAE

ADDIO A ELIO MATASSI TRA CALCIO E METAFISICA

Da Repubblica del 18 ottobre 2013

ROMA – Non era affatto una provocazione. Amava discutere con passione di come Arrigo Sacchi (ebbene sì, l’allenatore) individuasse lo stesso problema che si pose Leibnitz: la totalità funziona meglio se è autosufficiente o se eterodiretta? Idem per Mourinho, che ripeteva «chi sa solo di calcio non sa nulla di calcio», esattamente quel che è giusto e corretto dire della filosofia. Elio Matassi, morto ieri a 68 anni, negli anni più recenti veniva spesso intervistato per questa “deriva” calcistica del suo pensiero (materializzatasi in due libri, La pausa del calcio e Pensare il calcio, editi da Il Ramo), ma il suo pensiero veniva da lontano: da Hegel, da Lukács e dalla scuola di Francoforte, tanto per cominciare. Professore di filosofia morale e direttore del Dipartimento di Filosofia a Roma3, Matassi aveva allargato la sua ricerca alla filosofia della musica: in particolare, la sua sfida è stata quella di partire da Bloch, Benjamin e Adorno per arrivare ad elaborare una propria peculiare “filosofia dell’ascolto”. L’inizio di una vera e propria “rivoluzione formativa”, diceva lui, il cui sole non poteva che essere Mozart, il «più ascoltante tra gli ascoltanti», per dirla con Heidegger. Perché, calcio o Amadeus, sempre di metafisica si tratta.

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Fondazione FAE

È MORTO IMPROVVISAMENTE PER UN INFARTO IL FILOSOFO ELIO MATASSI

È morto improvvisamente per un infarto il filosofo Elio Matassi, allievo prediletto di Emilio Garroni, tra i più illustri docenti di Filosofia morale, direttore del Dipartimento di Filosofia di Roma 3, tra i maggiori esperti di estetica musicale.

Il professor Matassi era anche un grande tifoso dell’Inter, la squadra del cuore alla quale ha dedicato articoli e testi interessanti. A fine agosto aveva incontrato la platea dei suoi lettori sportivi presso la Fondazione Alario di Ascea per parlare di Inter e di calcio, intervistato dal suo amico filosofo Massimo Adinolfi. Rilanciamo l’ultimo articolo scritto dal filosofo su Il Fatto tre giorni fa, proprio per la sua amata Inter.

Per fare il punto sul momento particolare dell’Inter, dopo la caduta verticale del 5 ottobre con la Roma, mi ispiro al celebre romanzo di Balzac Le illusioni perdute che fotografa icasticamente il pesante ridimensionamento della squadra milanese. Una squadra modesta, almeno per i due terzi degli undicesimi, che potrebbe al massimo competere per un quinto o un sesto posto in campionato e non certamente per demerito del bravo allenatore Walter Mazzarri, ma per la debolezza costitutiva della formazione, sicuramente la più debole approntata dalla società negli ultimi anni, addirittura più debole di quella dello scorso campionato sotto l’egida di Andrea Stramaccioni.

Vi è inoltre una definizione del romanzo di Balzac, “la rassegnazione è una forma di suicidio quotidiano”, che scelgo come esergo del mio post per indicare da parte del sottoscritto la volontà di continuare a battersi per rendere migliore, nonostante la sordità della dirigenza, il futuro della squadra.

La lunga e complessa trattativa con la cordata Thohir per la necessaria acquisizione di nuova liquidità, sta, di fatto, sottraendo la dovuta attenzione al presente campionato. Da uomo e intellettuale libero quale presumo di essere, non posso fare a meno di denunciare tale impasse istituzionale che sta sprofondando la squadra sempre più in basso. Non solo, l’auspicio è anche quello che la svolta Thohir provochi una sorta di terapia shock, un licenziamento di massa di tutti i responsabili, tra i dirigenti, dell’attuale infelice rendimento della squadra. Oggi l’Inter è grossomodo tra il centesimo e il centoventesimo posto nel mondo, una formazione assolutamente periferica; dopo solo tre anni la dirigenza attuale è riuscita nell’impresa – dopo il conseguimento del primo posto nell’Europa e nel mondo – di farla regredire alla miseranda condizione attuale non solo per mancanza di liquidità, ma soprattutto per imperizia e incompetenza.

Basti riflettere sulla formidabile Roma del campionato attuale che è riuscita, dopo una campagna cessioni e acquisti fortemente in attivo, a trovare un equilibrio straordinario come squadra. Come ha dimostrato lo svolgimento della partita di San Siro, perduta senza attenuante alcuna, la rosa attuale dell’Inter è composta almeno per i due terzi da giocatori che solo eufemisticamente possono essere definiti inadeguati, qualcuno rientra addirittura nella tipologia che il lemma calcistico inappellabile chiama “brocco”. Si pensi all’esterno sinistro Pereira, pagato ben undici milioni di euro più tre di bonus al Porto, un vero e proprio bluff, un infortunio di mercato tra i più gravi tra i tanti perpetrati negli ultimi anni dalla dirigenza interista. Per non parlare della coppia centrale della difesa,Ranocchia e Jesus, totalmente inaffidabile nelle sue convulsioni nevrotiche.

L’auspicio, con l’attesa svolta Thohir, sarà l’allontanamento di quei dirigenti che hanno contribuito all’attuale miseranda situazione. Senza questo drastico rivolgimento, il futuro dell’Inter è destinato a diventare sempre più grigio, una condizione di squallido anonimato che la renderà sempre meno competitiva nei rating nazionale e internazionale.

Non vi è più tempo da perdere, se ne è già perso anche troppo. Non posso accettare argomentazioni come le seguenti: “Abbiamo aperto un grande ciclo”, dimenticando che questo è avvenuto dopo diciassette anni di insuccessi nazionali e dopo quarantacinque di sconfitte internazionali. Sembra, come per tutti gli eserciti vocazionalmente perdenti, che la misura del tempo, nella dirigenza interista, sia l’eternità. Proprio contro queste argomentazioni ho scelto l’esergo di Balzac, la rassegnazione è una forma di suicidio domestico; avendo compiuto da alcuni giorni 68 anni e dato che l’aspettativa di vita media di un uomo è quella di vivere tra i 78 e gli 80, non voglio rinunciare a battermi per una vittoria quanto più possibile vicina. Purtroppo i nemici interni dell’Inter sono molto potenti, ma anche se fossi l’ultimo interista con la mentalità vincente rimasto sulla terra, continuerò da solo la mia lotta senza mai rinunciare alla funzione di critica e di stimolo.

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A San Benedetto del Tronto niente, né sugli organi di informazione, noi compresi, né da parte delle istituzioni alle quali consiglio un evento, un premio alla memoria.