
A tutti coloro che, in buona fede o buona credulonità – non a quelli in cosciente mala fede – chiederanno il voto per compiere un passo verso gli Stati Uniti d’Europa, gli si spieghi che gli S.U.E. non dipendono solo dalla nostra (italiana) buona fede, volontà o credulonità, ma anche e soprattutto dalla buona fede, volontà e credulonità altrui.
Tutte le donne e gli uomini (cit.) hanno sempre sognato di volare come un Icaro, ma, sapendo che ciò non è possibile, hanno lasciato alle fiabe e alle mitologie questa possibilità, evitando di rattristarsi per un mito non realizzabile.
Se, dunque, vi diranno che “vogliono cambiare questa Unione Europea”, che “non siamo populisti bla bla bla”, che “siamo contro l’austerità ma è possibile cambiarla”, che “dobbiamo costruire gli Stati Uniti d’Europa per evitare nuove guerre” (eppure, attenzione, tutte le guerre europee degli ultimi 70 anni sono guerre civili che spesso hanno portato alla dissoluzione di “super-Stati”, ricordando i terroristi dell’Eta e dell’Ira, fino alla ex Jugoslavia, al Kosovo, all’ex Urss, alla Romania, all’attuale situazione Ucraina), occorrerà anche che da anime belle debbano sapere quali sono i numeri che si nascondono dietro le bandierine che sventolano leggiadre.
Semplicemente perché nessuno ha realmente intenzione di trasformare l’attuale Unione Europea in S.U.E. Anche se il perbenismo della comunicazione politica si sforza di far credere il contrario: nella post-modernità il comando si esibisce come bene estremo e non come violenta imposizione. Altrimenti non vivremmo circondati da spot e pubblicità, ma da gendarmi e militari armati. Altri tempi.
Numeri: l’attuale bilancio dell’Unione Europea è pari all’1% (percentuale in riduzione lenta ma costante nel tempo) del Prodotto interno lordo europeo. Qui la fonte.
Il bilancio federale degli Stati Uniti d’America è pari al 25% del Pil degli Usa.
Dunque il bilancio di un ipotetico “Stati Uniti d’Europa” dovrebbe aumentare fino al 25% del Pil europeo. Quindi dai 140 miliardi annui del 2013, ai 3.500 di un modello di SuperStato Europeo, unica motivazione plausibile all’austerità e al fiscal compact.
Ma chi mette sul banco quei 3.500 miliardi? Per il 75% gli Stati stessi che compongono l’Unione Europea.
La Germania, ad esempio, mediamente versa nelle casse dell’Ue 9 miliardi di euro in più rispetto a quelli che riceve. La Francia, secondo contribuente netto dell’Ue, ha un saldo negativo di 5,5 miliardi all’anno. L’Italia è a 4,5.
Cosa accadrebbe se questi dati, invece che per l’1% del Pil, fossero del 25%, integrando quindi le spese per l’istruzione, per la difesa, per la giustizia, per le infrastrutture, per l’ambiente, per i disoccupati, per gli asili, per costruire stadi di calcio e di rugby, per la detassazione delle assunzioni, per lo sviluppo e la ricerca tecnologica, per le telecomunicazioni, insomma, tutte quelle spese che conducessero, finalmente, a dei veri Stati Uniti d’Europa governati da un Parlamento sovrano e da un vero governo?
Significa che i tedeschi, ogni anno – giustamente – dovrebbero contribuire per circa 225 miliardi di euro, oltre l’8% del Prodotto interno lordo tedesco. La Francia per 137,5 miliardi di dollari all’anno, l’Italia per circa 112,5.
Non sarebbero risorse buttate, specie per la Germania, che grazie all’euro accumula surplus commerciali (tante esportazioni, meno importazioni, perché se avesse il marco i prodotti tedeschi costerebbero di più). Sarebbero il giusto contributo per la coesistenza in un unico “Stato federale”. Purtroppo somigliante – ma questo, è troppo ardito da far comprendere – ad un Impero Centrale piuttosto che ad una stornellata lennoniana.
Quando questi paesi, Germania in testa, saranno disponibili a devolvere quasi il 10% della loro ricchezza annua a progetti di solidarietà e comunque di sviluppo spesi in paesi diverso dal proprio (ovvero, ad esempio, si fideranno di come i loro soldi verranno spesi in Italia, o Spagna, o Grecia, o Portogallo) allora potremo discutere se si potranno realizzare gli S.U.E. o se forse sarà meglio evitare, in nome della paura del nazionalismo, di appoggiare l’imperialismo?
Forse è un altro il tipo di modello da perseguire per una armoniosa convivenza fra i fratelli europei?
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No forse non è chiaro. Quel numero è pari alla differenza tra dare e avere. L’Italia ha il ruolo, se non della Lombardia e della California (quello spetta alla Germania) almeno del Veneto o della Florida rispetto alla Campania e al Mississipi. E’ vero che le ispirazioni possono essere molteplici. Il problema è che in Germania non vogliono saperne nulla e nel momento stesso in cui un governo periferico porrà la questione come fondamentale per il contrappeso della cessione di sovranità (ok, annullo lo Stato e divento regione) la Germania abbandonerà l’Unione Europea. Il 25% è il numero da prendere… Leggi il resto »
Adesso è ancora meno chiaro. Se la percentuale del Pil messo in comune dai paesi membri fosse portato al 25% del totale comunitario, pare logico dedurne che ogni bilancio nazionale vedrebbe scendere o addirittura sparire la propria porzione dei costi “interni” assunti per la realizzazione di questa o quella infrastruttura integrata. Difesa, reti, trasporti. E quant’altro sia economicamente integrabile nel rispetto degli assetti politici attualmente in campo, o naturalmente cambiando i trattati. Cosa c’entra l’imperialismo? Sempre di dividere la torta in vista di obiettivi comuni si tratta. Che la Germania trascini i piedi cambia poco rispetto alla ragionevolezza e lungimiranza… Leggi il resto »
Oh mamma, eppure è tanto semplice. Invece che destinare 500 miliardi di euro alla spesa interna, la Germania ne devolverà 500 al bilancio europeo di cui 300 torneranno per la spesa interna e 200 saranno spesi in Grecia, Italia, Spagna, eccetera. E’ l’Abc di uno Stato, la redistribuzione tra aree geografiche diverse. La quota invece è scesa dall’1,3% all’1% negli ultimi 15 anni. Chi ha accettato l’austerità senza imporre misure redistributive in Europa ha accettato la riduzione degli Stati a Regioni senza chiedere in cambio la redistribuzione della ricchezza che ovviamente avvantaggia le zone già più ricche. Tutto questo è… Leggi il resto »
Guarda che stiamo dicendo la stessa cosa, e che siamo d’accordo sui diversi punti da cambiare e correggere, perché in prospettiva il processo d’integrazione diventi realmente più benefico per tutti e non solo per pochi. Che poi chi più mette più riprende, proporzionalmente al suo peso, mi pare francamente normale, e non un contro-argomento. Quello che conta è che i grandi diano più di quanto ricevono, giustamente il tuo Abc, il che succede anche oggi con quello striminzito 1%, e non si vede perché il principio della proporzionalità dovrebbe inficiare quello di più integrazione e di un bilancio comune più… Leggi il resto »
Siamo d’accordo, dici. Allora non credo servano le solite domande e i continui interventi. Grazie
I politici italiani dibattono sulle partite del cuore. Inoltre parlare di queste cifre li costringerebbe ad uscire la retorica come il nostro primo ministro attuale che parla di Europa come “generazione Erasmus”.