
Quanti anni aveva quando ha iniziato questo lavoro? Ci può raccontare la sua esperienza lavorativa?
“Avevo sedici anni quando sono andato in mare per la prima volta con l’imbarcazione di mio zio che si chiamava “Maria”. Nel gennaio 1947, con il motopeschereccio ci trasferimmo a Viareggio per praticare la pesca del Tirreno. Dopo circa un anno sono rientrato a lavorare nel porto di San Benedetto e m’imbarcai sul motopeschereccio “Vittoria”. Nel 1950 prestai servizio di leva per ventiquattro mesi tra Taranto e Capoiale, presso la stazione dei telegrafisti. Immediatamente dopo il servizio militare, il I° gennaio 1953, m’imbarcai presso il “San Giovanni Bosco” e andammo a sud tra Lampedusa e Pantelleria, dove praticavamo la pesca del gambero rosso. Nonostante numerosi imbarchi, lavorai sempre come comandante per circa trent’anni solcando il Mediterraneo e l’Adriatico. Purtroppo, dopo l’infarto, avvenuto nel 1982, dovetti fermarmi con questo tipo di vita e optare per un lavoro a terra, un po’ più tranquillo e così iniziai a svolgere il mestiere di bidello nelle scuole. Essendo capitano, stavo spesso in plancia di comando dove dirigevo le operazioni di pesca e controllavo le varie rotte da seguire. Quando ritiravamo le reti, aiutavo gli altri marinai in coperta a sistemare il pesce nelle cassette che poi veniva messo in ghiacciaia, pronto per la vendita ”.
Come mai ha scelto di fare questo mestiere?!
“Cercai di fare di necessità, virtù. Quando ero giovane il nostro territorio non offriva molti sbocchi lavorativi, quindi scelsi di sfruttare l’unica risorsa presente nella zona, quindi optai per il lavoro in mare”.
Qual è la giornata tipo all’interno di un motopeschereccio?
“La vita all’interno di un’imbarcazione da pesca è monotona, ma attiva sempre, ventiquattro ore su ventiquattro. Nella maggior parte del tempo si aspetta che le reti si riempiano di pesci da tirare su”.
Qual è la cosa più bella che le è capitata e quella più brutta?
“L’episodio più bello in assoluto è portare in porto un buon pescato. Questo ti riempie il cuore di gioia e ti ripaga della lontananza familiare e della fatica lavorativa. L’avvenimento più brutto risale al 1966 ed è rappresentato dalla cattura avvenuta presso l’isola delle Gualitè (arcipelago di isole rocciose situato a circa 80 km a nord-ovest della città tunisina di Tabarca e a 150 km a sud di Capo Spartivento, in Sardegna), da parte dei tunisini. Durante un’avaria al motore, mentre eravamo intenti ad aggiustare il pezzo guasto, le autorità tunisine credevano che fossimo attivi nella pesca, in acque non autorizzate. Una volta aggiustato il pezzo rotto, le autorità competenti ci arrestarono e ci sequestrarono il motopeschereccio. Trascorsero due o tre giorni (ora non ricordo precisamente) e le autorità tunisine riuscirono a chiarire l’equivoco con le autorità italiane e ci liberarono con “tante scuse”. Dopo la risoluzione di questo equivoco andammo nel porto di Cagliari”.
Com’è cambiata la pesca negli ultimi anni?
“La pesca si è perfezionata con l’avvento delle nuove tecnologie. Nella pesca sono aumentate le varietà presenti che si possono pescare. Secondo me il periodo del fermo biologico è sbagliato perché la riproduzione del pesce avviene a maggio e non ad agosto, quindi non ha senso farlo in quel periodo, senza contare che ci sono i turisti che gradirebbero essere serviti con il pesce locale”.
Consiglierebbe la vita del pescatore ad un giovane ragazzo?
“Per la dura vita lavorativa no, ma dato che l’economia di terra non offre opportunità lavorative si. Purtroppo con l’aumento del costo del gasolio i guadagni sono pochi ed i giovani non sono incentivati a buttarsi in questo lavoro”.
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