SAN BENEDETTO DEL TRONTO – I ragazzi dell’Isc Nord hanno accolto la signora Ciriaci con entusiasmo. Sede dell’intervista è stata una delle aule della scuola che per tanti anni ha ospitato la scrittrice come maestra.


Quando ha iniziato a fare la maestra?

“Ho iniziato giovanissima. La mia prima scuola era di Grottammare, a volte incontro i miei alunni di allora e sembriamo coetanei. Pensate che ho iniziato ad insegnare quando avevo appena 19 anni”.

Tra i suoi libri ce ne sono alcuni rivolti ai bambini. Forse le manca la scuola?
“Insegnare è una esperienza bellissima, io ero una insegnante un po’ rivoluzionaria, non seguivo in modo rigido il programma, avevo uno stile tutto mio. Poi, una volta andata in pensione, ho scoperto un nuovo mondo, quello della scrittura. Svolgendo questa attività si ha più tempo libero e si ha modo di dedicarsi ai propri interessi, quindi ora sono molto felice così”.

Quando ha iniziato a scrivere?
“Alla vostra età. Conservo con attenzione i miei primi scritti da bambina, come per esempio quelli pubblicati nel Corrierino dei piccoli”.

Quale è il suo primo libro e quando lo ha scritto?
“Il primo libro è stato “Ritorno a Santa Maria”, nel 2005. Nel libro si ripercorre un mondo che mi è appartenuto, a me e a quelli della mia generazione. Penso sia un modo per raccontare, in modo vivido, pezzi della nostra storia.
Poi ho scritto “Le uova di Pascuale”, “Nella casa del Mago”, “Il mattone interrato” e “Forasteria. Sarà donata una stella”.

Quale suo libro la ha appassionata di più?
“I miei libri sono come figli, non si vuole bene più ad uno o ad un altro. Si da’ maggiore attenzione all’uno o all’altro a seconda delle situazioni, delle esigenze. La fase di editing di ogni libro è molto delicata, in questa fase ho tante insicurezze, penso e ripenso alle correzioni da fare, sono critica con me stessa. Poi, con la pubblicazione, il libro prende vita e inizio ad amarlo, proprio come si ama un figlio.
In genere sono sempre molto affezionata all’ultimo libro scritto, in questo caso si tratta di “Forasteria”. Devo dire però che ho un legame particolare con il libro “Il mattone interrato”.

Ci parla di questo libro?
“Il libro racconta la storia dell’istituto Santa Gemma. Tutto inizia grazie alla generosità di un giovane sacerdote, don Francesco Vittorio Massetti. L’uomo, conosciuto dalle nostre parti come Don Vittò, dona la casa della sua famiglia agli orfani, numerosissimi in quel periodo a causa della guerra. La casa è gestita da signorine che decidono di dedicare la loro vita ai bambini soli, amandoli come loro figli. La notte di Natale del 1940 sono accolte in questa casa cinque bambine, orfane e poverissime. Quella notte inizia la meravigliosa storia di Santa Gemma.
Quando si diffonde la voce della casa famiglia Santa Gemma, tanti cercano accoglienza e le signorine accolgono tutti.
Sono molto affezionata anche all’immagine della copertina, dove c’è la foto di una delle signorine con una bambina. L’immagine della signorina è tagliata, come a raccontare quanto queste ragazze si siano annullate per i bambini che accoglievano”.

Perchè la casa si chiama Santa Gemma?
“Don Vittò non volle aiuti statali per gestire la casa, perché voleva sperimentare la Provvidenza, ma a un certo punto iniziò a chiedersi se le sue scelte fossero giuste. Chiedendo aiuto a Dio, si trovò ad aprire un libro nel quale vide l’immagine di una Santa, divenuta tale da poco: Santa Gemma. Si appellò a questa Santa e, proprio quel giorno, ricevette la lettera di un marchese che gli garantiva la donazione annuale di ingenti somme di denaro: ogni anno avrebbe donato 1.000 lire per la sua causa. Don Vittò vide questa lettera come un segno e decise di chiamare la casa Santa Gemma.
Molto più che una coincidenza, se si pensa che il sacerdote è morto proprio nel giorno in cui si festeggia Santa Gemma”.

Perché il titolo “Il mattone interrato”?
“Il libro lo ho scritto con mio figlio Stefano, lui vive a Milano e, pur essendo giovane, aveva capito il valore di queste storie. Il titolo all’inizio doveva essere “Le signorine di Santa Gemma”, il concetto del mattone interrato lo abbiamo preso da una lirica di Quoist, nella quale si dice che “L’importante è far parte della costruzione”. Un mattone che sta alla base di una casa, quindi interrato, non lo vede nessuno ma è fondamentale. In questo modo vogliamo ricordare tutti i “mattoni interrati” che, spesso in forma anonima, hanno aiutato Santa Gemma”.

Un ringraziamento speciale a Giulia Ciriaci, per la passione e l’amore con cui intraprende ogni suo progetto, oltre che per la gentilezza e l’entusiasmo con cui ha accettato di rilasciare questa intervista.