Sembra che le domande le abbia fatte lui. Renzi era alla City di Londra, luogo amato dalla sedicente sinistra italiana che ivi sciacqua i propri panni sul Thames – fu già l’ex marxista D’Alema a genuflettersi ai Mercati epicamente, tragicamente, goffamente. Si spera che qualcosa gli abbiano detto perché a quelle latitudini sanno davvero come funziona, non sono i Taddei o i Serra che hanno ingollato nelle università chili e chili di testi da Chicago Boy e ci credono davvero, trasformati, anziché in filosofi quali dovrebbero essere i consiglieri (ovvero economisti, dunque filosofi), in ingegneri, affatto creativi, immutabili, rigidi, non dubbiosi. Distruttivi.

E mentre “era con l’ad di Vodafone, Vittorio Colao; Win Bischoff, presidente di Lloyds Banking; Anthony Browne, presidente della British Bankers Association; Roger Carr di BAE Systems. E ancora: Garrett Curran, Uk ceo di Credit Suisse; Bob Dudley, ceo di BP; Douglas Flint, presidente di HSBC holdings; Chirs Gibson Smith, di London Stock Exchange; Leo Johnson, partner di PwC LLP; Christian Lucas, di Silver Lake; Mike Rake, presidente di BT Group, al finto rivoluzionario – in realtà un campione finora formidabile e impareggiabile nella propaganda che non ha sferrato neppure una schicchera oltre il Monte Bianco, altro che pugni sul tavolo, gli è giunta la notizia questa sì tragica davvero.

La disoccupazione in Italia continua a crescere e tocca livelli record almeno dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Ma quel 13% va rimpolpato con quanti, pur lavorando, sono di fatto sotto-occupati: dipendenti part-time, atipici, partite Iva, imprenditori persino che scivolano sempre più al di sotto del livello di sussistenza. Si chiama attacco alla borghesia media e piccola, è un evento storico e sociale di proporzioni enormi di cui il nostro Matteo e il suo entourage di ingegneri a) non ha la minima percezione e pensa che tutto dipenda da fenomeni come burocrazia, latrocini, evasione fiscale, etc, improvvisamente sbucati dal nulla nel 1999; b) se ha la percezione, si sforza di farla pratica e non teorica.

Ora l’annuncio mentre prendeva appunti dai Mercati che ci governano è stato: “Accipicchia quanti disoccupati, dobbiamo flessibilizzare il mercato del lavoro”. E poi la Grande Promessa: “Nei prossimi mesi, nei prossimi anni, la disoccupazione scenderà sotto il 10%“.

Obiettivo 2018 dunque. E siamo così a pezzi, che un annuncio di questo genere, ovvero di cinque anni di crisi perdurante, non scatena neppure una voce di protesta.

Eppure basterebbe poco, molto poco, per scendere sotto quel 10%.

Un Presidente del Consiglio che non prende appunti dai Mercati ma difende il suo paese e fa prendere appunti a tal signori forte di istituzioni democratiche e legali come convengono ad una nazione di 60 milioni di cittadini (e non una metafora di colonia da Terzo Millennio), saprebbe come ridurre la disoccupazione a livelli bassissimi e saprebbe, ancor di più, come scendere al di sotto del 10% in pochi mesi.

“Signori, la situazione nel mio Paese è tragica. Sapete bene che per cercare di risolverla negli ultimi anni si sono applicate le stesse misure che in Germania, dopo la crisi del 1929, vennero applicate dal governo Bruning, il quale ovviamente peggiorò la situazione del popolo tedesco che a quel punto preferì imbarcarsi nell’avventura nazista. Non si governa in democrazia senza benessere diffuso: può accadere per un breve periodo, ma poi la tendenza va ripristinata pena il collasso del sistema. Abbiamo notevoli informazioni di un rischio di esplosione sociale nel nostro paese.

Io sono appena stato nominato Presidente del Consiglio, quindi ho un certo margine di manovra. Tuttavia, lo sapete meglio di me, i vincoli dell’Unione Europea e la natura stessa dell’euro e della politica tedesca, che non verrà modificata, mi impediscono di cambiare sostanzialmente la situazione italiana. Non vorrò essere ricordato come il Presidente del Consiglio che ha affossato il Paese. Voglio essere ricordato come colui che ha salvato la nazione in un passaggio tragico.

Certo, le riforme del sistema politico, quelle della cultura, della formazione, sono importanti e lavoreremo duramente per realizzarle. Ma parlo qui con uomini della finanza e dell’economia, per cui, a costo di essere ridonante, vi ricordo che queste riforme non hanno nulla, o molto poco, a che vedere con il benessere materiale del quale, in questo momento, necessitano gli italiani per poter pensare poi anche al resto. Senza pane, non c’è circo.

Occorre agire subito, non posso sfibrarmi in una contrattazione lunga e incerta. Non posso ricevere le risposte negative che furono già date alle timide domande di Prodi, Berlusconi e Monti. La crisi europea e italiana non è una crisi da carestia, o da cataclisma naturale, o da carenza di materie prime. E’ una crisi inizialmente nata come crisi finanziaria che purtroppo le istituzioni e certi centri di potere europeo hanno ampliato in una riedizione di quella che un tempo veniva chiamata lotta di classe, e che oggi è ovviamente ancora una lotta di classe che vede però contrapposti i rentier finanziari rispetto, oltre che i lavoratori, anche i piccoli imprenditori, categoria che in Italia, grazie ad un’inventiva con pochi pari costruita in secoli e millenni di civiltà ai vertici mondiali, è presente come in nessun’altra parte del globo.

Vi dico questo, cari amici, perché le decisioni devono essere prese subito, ora. Non possiamo rimandarle.

Ed io, in qualità di rappresentante del governo italiano legittimamente eletto dal popolo e dunque con pieno mandato della Costituzione italiana, chiederò alle istituzioni dell’Unione Europea quanto segue:

1. Finanziare subito con denaro creato ex novo dalla Banca Centrale Europea una riduzione fiscale sul lavoro pari al 4% del Prodotto interno lordo italiano, ovvero circa 60 miliardi che andranno ad abbattere il cuneo fiscale e alcune imposte che pesano nell’azione aziendale. In questo modo l’extra reddito nelle buste paga sarà compensato dalla riduzione dei costi delle imprese, garantendo un pareggio tra importazioni ed esportazioni e un miglioramento della redditività delle aziende e dei consumi delle famiglie

Come intuite questa misura, da sola, sarà capace di ricondurre al lavoro centinaia di migliaia di disoccupati, forse un milione o due. Così salveremo l’Italia, e l’Europa, nell’immediato: in due o tre mesi l’effetto sarà visibile e chiaro, senza dimenticare le aspettative future che provocheranno una moltiplicazione dell’entusiasmo. Tra i tre e i sei mesi solo questa misura riporterà la disoccupazione al di sotto del 10%.

Ovviamente non basterà: entro cinque mesi dobbiamo predisporre un piano di investimenti pubblici in campo ambientale, istruzione, sul dissesto idro-geologico, nella ricerca in grado di farci recuperare i venti o trent’anni di abbandono a causa dei vincoli di bilancio che abbiamo sopportato. Inoltre predisporremo altre misure che condurranno, in un anno e al massimo due, la disoccupazione a livelli irrisori e quasi del tutto volontari.

Tutto questo è possibile, se solo lo vorrete. In caso contrario, dovrò annunciarvi che il mio governo e il mio parlamento sono d’accordo a far recedere l’Italia da tutti i Trattati europei che non ci consentono di sviluppare politiche nazionali volte al benessere della popolazione, ovvero non ci consentono di essere testimoni vivi della Costituzione Repubblicana che i nostri nonni eressero a guida dopo il disastro del fascismo. Non possiamo, noi uomini delle istituzioni, tradire le istituzioni repubblicane stesse.

2, a quel punto saremo costretti ad ergerci di nuovo, noi stessi, e a divenire faro di una nuova Europa. Un esempio possibile nel cuore del Continente che, crediamo, possa trascinare all’emulazione tutti i popoli che sentiamo intimamente fratelli. Faremo noi stessi quel che la Banca Centrale Europea, eventualmente, ci negherà.

Temo che qualcuno di voi possa credere che questa eventualità sia negata all’Italia se tornasse pienamente sovrana. Ma come voi sicuramente sapete – consentitemi la battuta, è il vostro lavoro, mentre i giornalisti e i politici italiani ignorano questi dati così importanti – vi sarebbe innanzitutto una diminuzione della spesa per interessi. Potremmo dedicare probabilmente qualcosa in più di 60 miliardi per l’abbattimento della tassazione sul lavoro.

Ma quel che conta è che quel denaro, privo di debito, sarà interamente trasformato in lavoro, in beni, in servizi, in benessere e qualità ambientale. Non vi sarà inflazione, al di là di un piccolo aumento dal livello pericolosamente basso di questi mesi; non vi sarà svalutazione della moneta, perché è controbilanciata dal lavoro sottostante. E anzi l’effetto positivo di una politica di tal genere, che scegliamo in quanto immediatamente operativa con l’approvazione di un decreto legge, consentirebbe a molti italiani che hanno preferito delocalizzare all’estero le proprie imprese, di tornare a investire in Italia. Potremmo avere l’effetto contrario, un apprezzamento della moneta, addirittura. Ma questi sono dettagli: la certezza che abbiamo è che i disoccupati crolleranno, e daremo all’Italia una svolta che sarà ricordata nella storia.

Questo, posso e possiamo fare.

Riguardo quei discorsi un po’ terrorizzanti relativi all’uscita dall’euro, così amati dai giornalisti, come ben sapete, voi che conoscete la storia e in ispecie la storia dell’economia, avete ben presente, tra i tanti esempi, che nazioni all’epoca con una ricchezza e forza di gran lunga inferiore rispetto all’Italia, come la Repubblica Ceca e la Slovacchia, o le ex repubbliche sovietiche e in particolar modo quelle baltiche che lottarono per l’indipendenza, non hanno bloccato il processo politico e democratico per timore di chissà quale cataclisma infondato per la nascita di una nuova valuta. E i casi sono decine e centinaia nella storia.

Si tratta di questioni tecniche e abbiamo a nostro favore approfondimenti tecnici di altissimo livello che ci consentiranno di trarre i massimi benefici nel caso fossimo costretti a questa decisione”.