Così la vedo. San Benedetto del Tronto, 23 gennaio dell’anno di grazia 2014, otto anni, o novantadue mesi o, se preferite, duemilasettecentonovantasei giorni dall’insediamento dell’Amministrazione Gaspari.

Sono seduta sul parquet di casa con la schiena poggiata alla parete umida e il Mac sulle ginocchia. Insomma, devo scrivere della mia città. E scriverne e una traiettoria d’incognite che si svolge lungo una successione rituale, continua e indivisibile: osservare, conoscere, intrattenere rapporti, informarsi in giro.

Tra quelle vie di semioscura monotonia somiglianti a delle rughe perché attraversano la pelle della città, come a voler tracciare una mappa della vita che lì scorre. E poi registrare, cercare un ordine, limare, affinare, dare forma. Quando il lavoro è finito, metterlo a disposizione perché non resti solo una raffigurazione statica, e lo scrivere incontri il mutare.

Pensare e raccontare San Benedetto del Tronto. Quasi una egoistica necessità la mia. Osservarla ormai con occhi disincantati, tra amarezza e attaccamento, nel suo implodere.

Così la vedo. Un tempo ridente “città territorio”, ora non più. Ora in declino. Costante, progressivo, implacabile. Impoverita e rimpicciolita da un esodo dei più giovani. Sospesa. Immobile. Tra crisi economica, decadenza sociale, paralisi decisionale. E percepirla come un’infinita periferia. Inesistente il contributo dell’Amministrazione per affrontare i colpi d’una decrescita assai infelice, caduti sul turismo, sulla pesca, sul commercio, sulle imprese, sul lavoro; molte evidenze empiriche sulle occasioni perse, sulla riduzione dei servizi erogati, sugli Uffici pubblici dismessi negli ultimi anni; nessuna significativa innovazione nelle attività del Comune; nessuna “idea di città” per affrontare, con la città, il futuro.

Nessuna visione culturale che sorregga un’ipotesi di ripresa, solo minute manutenzioni dell’esistente o ambiziosi progetti (Ballarin, Albula, lungomare, rete fognaria) smarriti tra capolavori di follia urbanistica come gli ombrelloni di ferraglia fotovoltaica, le tristi e infinite spianate di asfalto nero, tra crepe sulle strade, arrangiate raccolte di rifiuti, superflui show da sessantamila e euro, tomi autocelebrativi dal costo più elevato di uno stipendio mensile medio, orgogliose foto direttamente dalle piazze rosse, saune ristoratrici e superbe indifferenze.

Dopo otto anni di governo incontrastato, un’Amministrazione chiamata a dare risposte continua invece a girare a vuoto in uno stato di apatica e desolante confusione. Con una visione della politica diventata, da scienza del buon governo, solo raffinata arte della conquista e della conservazione del potere. Bravissimi in quello, per carità.

Così la vedo. Una San Benedetto abbandonata a se stessa, nel silenzio assordante delle forze politiche oscillanti tra piccole ironie, piccole calunnie, piccole critiche, piccole polemiche, piccole finte crisi di partito e di nervi. La città della piccolezza parafrasando Pierre Drieu la Rochelle. A meno di cambiamenti clamorosi con quello che resta del suo secondo mandato, il fallimento dell’Amministrazione Gaspari sarà pressoché totale. E le macerie fumanti non stenteranno a ricordarlo a tutti noi, anche se non credo che l’anima della città sia morta. Cova isolata e silenziosa sotto quello spesso strato di cenere, laterizi e qualche rifiuto. Dimenticavo, solo i cittadini possono far rinascere San Benedetto del Tronto, non le amministrazioni. Rinascerà dai cittadini. O non rinascerà affatto. Ci sono menti pensanti e c’è un’infinita, vitalissima, energia a costo zero. E’ tempo di usarle.

Entrambe.

Così la vedo.