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Riprese e montaggio di Arianna Cameli
Intervista di Massimo Falcioni

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Tre mesi di silenzio. E di spalle voltate: “Dal giorno dell’addio nessuno si è preoccupato di conoscere le mie idee. Non sono stato più invitato alle riunioni, nonostante sia ancora un tesserato del Pd”. Felice Gregori torna a parlare e racconta, a distanza di cento giorni, i reali motivi che lo spinsero a dimettersi da segretario dell’Unione Comunale. “In parecchi intesero il mio abbandono come una resa, non fu così. La verità è che non condividevo più le scelte di Gaspari”.

Una crisi consumata il 26 novembre 2012, giorno del Consiglio Comunale che ufficializzò lo strappo tra il sindaco e l’ex capogruppo Loredana Emili. “Mi viene da ridere se ripenso all’atto di forza compiuto quella sera per far approvare la famigerata delibera sul distributore di benzina. Tentai di mediare in tutte le maniere, chiesi del tempo. Loredana aveva annunciato diversi giorni prima che non l’avrebbe votata, eppure si preferì andare allo scontro frontale. Risultato? Dopo un anno c’è un assessore che arriva quasi ad esultare per il fatto che al bando non si sia presentato nessuno. Allora quella corsa a cosa servì? Ve lo spiego io: a spaccare il partito”.

La vicenda dello stadio fu causa di innumerevoli contrasti. Gregori non fatica ad ammetterlo. Anzi, si rammarica per non essersi mostrato deciso in alcune circostanze. “Dovevo essere più fermo nella mia contrarietà. Avrei dovuto creare un caso all’interno del Partito Democratico”.

Ma fu solo la goccia che fece traboccare il vaso. “In precedenza c’era stata la storia della Megavariante, sposata per molto tempo ed accantonata all’improvviso, o più recentemente il progetto delle pensiline fotovoltaiche di cui nessuno in maggioranza sapeva nulla. Per me furono un fulmine a ciel sereno. I lavori avanzavano e contemporaneamente il centrosinistra era ignaro di tutto. Si trattò di un’operazione preconfezionata. E’ normale che in un movimento ci siano visioni diverse, tuttavia un amministratore deve chiedere aiuto al suo partito per costruire un indirizzo politico. Al contrario, non era possibile discutere degli obiettivi. Le riunioni andavano in scena ad un giorno dalla Commissione e a tre dall’assise. Non ci stavo più a fare da capro espiatorio. Questa amministrazione non gradisce i disturbatori. Guai a contraddire il manovratore”.

Dopo di lei è arrivato Roberto Giobbi, una sorta di traghettatore in vista del Congresso. Che voto gli dà?
“Non è giudicabile. Ha indetto in tutto due incontri, uno per presentarsi, l’altro per parlare del nulla. Quando fu nominato neanche mi telefonò per chiedermi quale fosse la situazione che si ritrovava tra le mani. La sua candidatura al coordinamento del circolo Ianni è come un generale che accetta l’incarico di caporale: sminuito a tutti gli effetti. Dissi a Di Francesco che sarebbe stato inutile rinominare un segretario alla vigilia del Congresso. In alternativa, proposi di creare un comitato composto dai tre segretari delle sezioni e dal coordinatore dell’Unione Comunale. Avrebbero guidato il Pd sino a novembre. Mi venne ricordato che il regolamento non consentiva tale pratica. Qualora l’avessimo perseguita sono sicuro che nessuno si sarebbe appellato alla Commissione di Garanzia”.

Il 3 novembre andrà a votare?
“Certamente. Sosterrò con convinzione Gianluca Pompei. Fui io ad inserirlo nel coordinamento dell’Unione quando era componente dei Gd. Non era mai accaduto in nessuna città marchigiana. Io nei giovani credo. Gianluca è stato al mio fianco per cinque anni, si è formato, ha avuto degli incarichi e delle responsabilità. E’ sfavorito per i motivi che sappiamo, non fa parte del cerchio magico”.

Se la vedrà con Sabrina Gregori. Un giudizio su sua cugina?
“Ritengo che non abbia spessore. E’ vicina al sindaco, su un tema delicato come quello del Riviera delle Palme non ha proferito parola. Vorrei ricordare che chi oggi la supporta, un anno fa non la voleva eleggere neanche alla sezione di Porto d’Ascoli, evviva la coerenza. La candidatura è nata a tavolino. Ho parlato con dei renziani, lamentano che nessuno li abbia interpellati. Dovrebbero  incazzarsi per quello che sta accadendo. Trovo grave che nel comitato Adesso Sbt non sia consentito parlar male dell’amministrazione. E’ la prova che il gruppo consiliare detta le regole”.

Se la Gregori è troppo gaspariana, è pur vero che dall’altra parte Pompei viene dipinto come una creatura del duo Perazzoli-Emili.
“E’ una descrizione ingenerosa. E’ stato etichettato come un prodotto di Paolo e mi dispiace. Ha 30 anni, non è un bimbo. Sa ascoltare tutti, a differenza mia che fatico a nascondere le antipatie. Sono convinto che farebbe bene”.

E’ stato segretario per quasi sette anni. Si rimprovera qualcosa?
“Ho svolto un lavoro onesto nell’interesse del Pd. Durante la mia gestione ho raccolto più vittorie che sconfitte. Nel 2009 commisi l’errore di non insistere su una mia convinzione. Quando candidammo Emidio Mandozzi alla Provincia avremmo dovuto smarcarci anzitempo dall’amministrazione Rossi, almeno dodici mesi prima. Non c’era più sintonia col presidente, era opportuno allontanarsi. Se non condividi un percorso, non ha senso arrivare fino al termine.

Attualmente quali sono i rapporti tra lei e Gaspari?
“Se ci incontriamo ci salutiamo. So distinguere i rapporti umani da quelli politici”.