ALBA ADRIATICA – “Chiediamo giustizia”. Ad una settimana dal sequestro di beni per 800mila euro alla famiglia Levakovic, Nita D’Orazio e Ilaria Nicodemi, rispettivamente madre e moglie di Emanuele Fadani, commentano la vicenda che getta nuovo sale su ferite sempre aperte.

Due donne, Nita e Ilaria, che in quella notte dell’11 novembre 2009 hanno perso un figlio e un marito, rimasto vittima della violenza di tre rom. Un episodio seguito ad un altro omicidio analogo, avvenuto pochi mesi prima a Villa Rosa, dove il 22enne Antonio De Meo perse la vita preso a pugni da due rom. Un omicidio, quello di Emanuele Fadani, che fece saltare la pentola a pressione della convivenza civile, e centinaia di cittadini esasperati la notte del 12 novembre  misero a ferro e fuoco il quartiere rom di Alba Adriatica, in cerca di una immediata giustizia sommaria.

Una vicenda tormentata che, a distanza di quattro anni, ancora non vede l’epilogo: la sentenza in primo grado (aprile 2011) ha condannato Elvis Levakovic a dieci anni, in quanto autore del pugno mortale, e assolto il cugino Danilo e Sante Spinelli, mentre l’Appello (marzo 2012) ha parzialmente ribaltato il primo verdetto, riconoscendo colpevoli anche gli altri due rom, attribuendo loro un “concorso morale” nell’omicidio. Anche per loro dieci anni, attualmente scontati ai domiciliari.

Nei giorni scorsi il tribunale di Teramo sequestra a Carlo Levakovic, padre di Danilo, beni per un valore di 800mila euro. Un patrimonio di provenienza illecita, secondo la Questura, che ha rinnovato il dolore e la rabbia di due donne ancora in attesa che la giustizia faccia il suo corso.

LE SPESE GIUDIZIARIE – Ammontano a svariate migliaia di euro le spese legali che la Corte d’Appello ha disposto a carico degli imputati. Spese che non sono mai state saldate. Sia Danilo che Elvis Levakovic, così come Sante Spinelli risultano nullatenenti, seppure il patrimonio familiare del primo, alla luce del recente sequestro, sia ingente. “All’indomani dell’omicidio abbiamo rifiutato l’incontro con la madre dei Levakovic – afferma Nita – Se la famiglia vuole mostrare un segno di avvicinamento verso di noi, cominci con il fare il proprio dovere, pagando le spese legali come stabilito. Per decenni i rom ad Alba Adriatica hanno avuto sussidi dal Comune in quanto ufficialmente nullatenenti. Beni sottratti ai cittadini senza che nessuno mai si preoccupasse di verificare l’effettivo stato di indigenza dei richiedenti”.

E’ una donna forte Nita, come solo può esserlo una madre che porta il peso della morte di un figlio. Una donna dal cui profondo dolore nascono coraggio e determinazione: armi poderose con cui da quattro anni combatte le sue battaglie. La grande forza interiore è tangibile, e Nita non si fermerà fino a quando non vedrà i responsabili della morte di Emanuele consegnati ad una pena certa. Ha ingoiato lacrime e rabbia dopo l’assoluzione in primo grado di Danilo e Sante, e la condana a dieci anni per Elvis per omicidio preterintenzionale, quando la Procura aveva chiesto trent’anni per omicidio volontario. Ha poi sperato dopo il ribaltamento della sentenza in Appello che ha dato dieci anni anche agli altri due. Ora confida nell’esito definitivo della Cassazione, che si pronuncerà il 3 ottobre. “Non siamo razzisti – prosegue – ma chiediamo giustizia. E la certezza della pena. Perché due colpevoli di omicidio restano ai domiciliari, in una sorta di vacanza legittimata, anziché in carcere, vista la pericolosità sociale dei soggetti? Confidiamo nel fatto che in Cassazione non ci sia una riduzione della pena. Chiediamo giustizia da parte dello Stato, per prevenire quell’esasperazione che altrimenti porterebbe i cittadini a farsi giustizia da soli”.

IL RISARCIMENTO ALLA PARTE CIVILE – Oltre alla condanna degli imputati il tribunale ha previsto anche il risarcimento ai familiari della vittima: 100mila euro alla moglie Ilaria, 200mila euro per la figlia Giorgia, 100mila euro per la madre Nita, 20mila euro ciascuno ai fratelli Fabrizio ed Alex. I tre rom sono stati condannati al risarcimento del danno alla parte civile da liquidarsi in separata sede, e al pagamento delle provvisionali stabilite in primo grado. “Stiamo valutando se procedere con la causa civile – afferma Ilaria Nicodemi – Quattro anni di spese legali ci hanno duramente provato. Viviamo del nostro lavoro, e non sappiamo se riusciremo ad affrontare il peso economico di un nuovo procedimento giudiziario. Non che il denaro risarcito potrà mai sopperire alla mancanza di Emanuele ma – prosegue Ilaria – potrebbe almeno garantire un futuro sereno a nostra figlia”.

I tre rom sono stati condannati a risarcire i familiari di Emanuele, ma gli scrupoli per la dubbia provenienza del patrimonio dei Levakovic, oltre alle oggettive difficoltà a chiedere il risarcimento a persone nullatenenti, inducono Nita e Ilaria a percorrere un’altra strada: rivalersi con la causa civile non tanto sui rom, quanto piuttosto sullo Stato, sulla base di una sentenza del tribunale di Torino (3415/2010) che, applicando una direttiva europea, lo ha condannato a risarcire una vittima di stupro, costituendo una pronuncia storica per l’affermazione dei diritti delle vittime dei reati violenti.

L’ASSOCIAZIONE “PER NON DIMENTICARE” – Sono tante le battaglie portate avanti da Nita Fadani in memoria di Emanuele. L’associazione ha presentato esposti e segnalazioni a tutti gli organi preposti su situazioni sospette ad Alba Adriatica. “Abbiamo chiesto di verificare lo stile di vita delle famiglie rom, palesemente al di sopra dello stato di indigenza dichiarato. Ma nessuno ci ha mai risposto”. Tra le battaglie vinte dall’associazione, le prostitute minorenni tolte dalla strada in via Mazzini. Tra quelle ancora da affrontare, una piuttosto impegnativa, con la proposta di legge presentata da Nita D’Orazio e Lucia Di Virgilio (la mamma di Antonio De Meo) affinchè l’uso del pugno sia equiparato ad un’arma in grado di uccidere. “La proposta di legge Un pugno come un’arma è stata presentata poco prima della caduta del governo Berlusconi, – spiega Nita – ma non è stata presa in considerazione, così come nel successivo Governo Monti. Ci prepariamo ora a rifare di nuovo l’iter per riproporla all’attuale Governo.

Tra i propositi ancora irrealizzati, quello di ricordare Emanuele Fadani ad Alba Adriatica con l’intitolazione di un luogo pubblico. Qualche anno fa era stata avviata una raccolta firme (che aveva raggiunto le 700 adesioni) per dedicare al 38enne barbaramente ucciso l’anfiteatro con il parco pubblico in via Duca D’Aosta. La proposta però fu bocciata dall’amministrazione Giovannelli. “La giustificazione addotta dal sindaco  – ricorda con amarezza Nita – fu che bisognava lasciarsi il passato alle spalle e guardare al presente. Ma un figlio ucciso non può essere dimenticato, e un simile episodio di violenza deve essere ricordato affinchè non si ripeta più in futuro”.