L’uomo sembra davvero il ritratto di un piadinaro alla Festa dell’Unità (sì lo so non è romagnolo), quelle di una volta, tra sigari, lambrusco e mazurka. Ma quello che sta facendo, giorno dopo giorno, è disintegrare il partito che rappresenta. Altro che Grillo. E si spera sia inconsapevole.

Bersani fa anche umana pena, perché gli tocca la sorte più atroce: perdere vincendo, o, come dice lui, “siamo arrivati primi ma non abbiamo vinto“. Neanche Crozza riuscirebbe ad essere più spiritoso, ma incredibilmente è tutto vero.
Vediamo.

Ha portato i voti popolari italiani all’international advisor Goldman Sachs Mario Monti invece di chiedere elezioni che lo avrebbero incoronato (ma condotto ad una politica anti-austerità con Sel e Idv, e non si poteva), ha bevuto l’olio di ricino della destra europea (che aveva definito, dall’opposizione, “una castrazione delle politiche economiche che non voteremo mai” per poi votarla), ha vinto le primarie contro il giovin Renzi.

Durante la campagna elettorale ho pensato che non volesse stravincere, perché da soli, con quello che ci aspetta, significava poi disintegrare veramente il partito. Vincere, allora, ma con Monti, e ripetere “ce lo chiede l’Europa” per salvarsi alla ben’e meglio.

Ma il discorso di martedì 26 febbraio, dovrebbe far riflettere chi vuol bene al Pd.
Bersani è di fatti sfiduciato: ha una data di scadenza, bisogna consumarlo presto.
Ha sciorinato quattro punti programmatici per un “governo senza maggioranza”. Per nessuno dei quattro, però, vi sono ostacoli da parte di Pdl e M5S (più problemi forse con Monti, infatti né citato né cercato, che fine per il professorino banchiere): moralità (per carità, nel Pdl ci potrebbero essere dei distinguo), riforme istituzionali, inclusione sociale, e, incredibilmente, “impegno per una nuova politica europea a favore del lavoro“.

E proprio sull’Europa arrivano le parole più nette e dure: “Il voto porta ad un cambiamento che spinga su delle novità forti, compreso anche il fatto di aprire un libro a livello europeo, queste elezioni devono dire qualcosa in Europa. Questa politica non va bene, alla lunga porta reazioni che non sono controllabili in sistemi democratici“. Cavoli.

La realtà è che la situazione è difficile ed è condizionata da politiche europee francamente sbagliate“. Cavolissimi. Con tanto di scrollata di spalle, eh.
Ora, il ravvedimento è sempre buono ma la politica è fatta anche di simboli e purtroppo Bersani si sta scavando la fossa da solo. Non si può tacciare qualsiasi discorso riflessivo sulla situazione europea come “populistico, demagogico, distruttivo” e poi, presi gli scapaccioni, ritrattare tutto.

Purtroppo non si è credibili (non lo si era neppure quando si votava il Fiscal Compact senza fiatare, ovviamente).

Mai come questa volta – e sembra incredibile, eh – ho sentito persone che hanno sempre votato a sinistra dire: “Stavolta ci tocca votare Berlusconi”. Poi ovviamente non lo hanno fatto e si sono tutte rifugiate nel M5S.

Quale credito si può dare a Bersani se in 24 ore si rimangia 14 mesi di sostegno al governo sempre e comunque?

Perché non ce n’è uno nel Partito Democratico che abbia avuto una visione strategica di medio periodo e abbia il coraggio di parlare con trasparenza agli italiani senza paura? Ma che ci vuole a far venire Krugman in Italia e dire (fare) due cosette sul taglio degli stipendi per placare Grillo? Ci vuole cuore. Altro che voto di pancia: è stato anche un voto di testa (e appunto il continuo richiamo ai messaggi semplificati fa ipotizzare stuoli di elettori rimbambiti da una parte e riflessivi dall’altra: ben diverso ad esempio la lettura di un giovane sindaco come Lucciarini).

L’avventura di Bersani è finita, ma se i democratici pensano di cambiare l’involucro senza toccare la carne (mettere Renzi al posto di Pierluigi), saranno finiti anche loro.