Dimissioni. C’è chi si dimette e chi si moltiplica ‘pro domo sua’ le potenziali poltrone, per mantenerne almeno una, il primo è chiaramente il Papa, i secondi diversi politici italiani.

Papa Benedetto XVI si è dimesso creando un evento epocale che, a parer mio, non ha bisogno di tanti commenti o giri di parole in un mondo in cui il primo punto di riferimento (per volenti o nolenti) è il denaro. Tutti i discorsi, fateci caso, finiscono lì. Il caso del Papa è l’eccezione che conferma la regola perché dimostra che l’attuale pontefice non vive tra la bambagia o che sia attaccato a lussi sfrenati sui quali spesso viene criticato dai materialisti.

La realtà è che il ruolo del Papa, da Giovanni XXIII in poi, è notevolmente cambiato, un ruolo che impone (giustamente) di stare tra la gente spesso e comunque in ogni angolo del mondo. Normale che un uomo di 85 anni non abbia più le forze per adempiere compiutamente a tale funzione ed abbia il coraggio di dirlo al mondo. Ma quello che più mi sorprende è che, a criticarne il gesto umano sono principalmente i non credenti, quelli che non credono che rappresenti “Dio in terra“. A me sembra una contraddizione ed un motivo gratuito per attaccare la Chiesa. Quella con la C maiuscola perché quella con la c minuscola se lo merita ma, attaccarla, significa anche che si crede all’altra, a quella vera, quella che nel dogma cristiano rappresenta il corpo di Cristo.

Chi, invece, ha paura o meglio ha l’incubo di perdere una poltrona che non merita più (semmai l’abbiano meritata in passato) sono quei personaggi della politica che, non paghi della scandalosa legge elettorale che gli stessi che l’hanno approvata all’unanimità definiscono “porcellum”, senza un pizzico di vergogna, hanno dato vita al “superporcellum“, quella regola o Legge, non so, che permette allo stesso individuo (è il termine che ritengo si addica di più) di presentarsi come capolista in quasi tutte le regioni italiane, se non in tutte.

Perché? Quelli che, per tale motivo, sono relegati nel ruolo di riserve (Ciccanti, Rossi, per citarne due dei nostri) dicono, anche se non ci credono, che è utile anche per loro perché il prestigio del nome permette di catturare più voti. Non è così perché credo che i nomi di Casini, Fini, Di Pietro eccetera oggi sono più un deterrente al voto che il contrario; il vero motivo è che i prepotenti capolista, vista la mala parata, usano il sistema per essere certi di restare a galla grazie ad un maggior numero di salvagenti. Non mi meraviglio tanto di loro ma della prostrazione servile dei vari candidati nelle varie regioni che lo permettono e si affidano alla speranza (flebile per molti di loro) che il loro CAPO riceva così tanti consensi da permettere che le briciole riservate a loro riescano a … sfamarli. E’ deprimente ma, nello stesso tempo, classifica chi vi si assoggetta. Verbo che nel dizionario italiano equivale a sottomettersi.