SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Ottavio Palladini che a fine gara si batte il petto verso la curva come per dire “ho sbagliato io” è una figura rara nel calcio di oggi: ma Ottavio è ormai “uno di noi” e ci sta che ammetta che la spettacolare gara Samb-San Cesareo 3-3 nasce anche da qualche scelta errata in fase d’impostazione.

Una gara poi recuperata negli ultimi venti minuti, con una impresa che fatichiamo a ricordare nella storia rossoblu.

Di fronte una formazione, il San Cesareo, che in molti credevamo facile preda specie dopo lo strano 0-5 di una settimana prima e che, invece, sia chiaro, è stata formazione di grande livello, sicuramente la migliore vista quest’anno quanto a qualità del gioco. Fraseggi di prima, movimenti coordinati, un Delgado giocatore di straordinario talento per la categoria e un tridente offensivo armonioso e tecnico. Chapeau, davvero. E vedendo questa formazione si è capito il perché di tanti risultati strani e sorprendenti, conquistati spesso allo scadere: la squadra gioca troppo bene per essere in Serie D, è quindi capace di tutto, il meglio e l’incredibile.

I rossoblu hanno pagato l’assenza di Traini, il migliore rossoblu nell’ultimo mese e mezzo, e quindi la doppia scelta di Palladini: giocare con due portatori di palla a centrocampo (Scartozzi-Onesti), e quindi con Forgione sperimentato in un ruolo non appropriato (esterno destro) ha causato non pochi problemi al centrocampo, con Carpani fuori fase.
Degli infortuni difensivi, delle difficoltà di Djibo ad inizio gara, e della grande rimonta finale si è già detto. Se a questo ci uniamo il fatto che in questo momento Shiba è più centravanti classico rispetto a Pazzi (ovvero il secondo riesce a garantire un movimento migliore per gli inserimenti dei compagni), ecco il quadro di una formazione sfilacciata.

Da questa partita restano due impressioni: la prima, è che il San Cesareo rischia di essere potenzialmente “superiore” alla Samb. La seconda, però, a che fare con i risultati, perché il calcio non è solo bellezza ma anche concretezza e grinta. L’impressione è che i laziali abbiano giocato la partita della vita di fronte ad un pubblico al quale non erano abituati: e abbiano dato il massimo, tanto da restare senza fiato nel concitato finale.

Che insomma, se non riescono a vincere la partita più importante dell’anno nelle condizioni in cui si sono trovati, abbiano qualche limite “strutturale” – magari cambi non all’altezza dei titolari, e si veda lo 0-5 col Termoli avvenuto anche a causa dell’assenza di molti giocatori.

Se Carpani, Djibo e Marini, sospinti dall’onda rossoblu del pubblico, non avessero messo a posto i conti, oggi parleremmo di un’altra storia, e della paura di un sogno che sembra sfuggire di mano. Sogno che, da domenica prossima, deve continuare a proseguire.