POLITICA. Moderando e rispondendo ai commenti, oltre a tenermi informato sull’attualità politica in particolare, ho maturato, e quindi confermato, la sensazione che è indispensabile fare qualcosa per far sterzare i politici e la politica in genere. C’è ancora tempo per alcuni di loro, magari i più giovani (politicamente e come età), di fare un bel “mea culpa” e cambiare rotta: con un atto di coraggio contro chi li ha tenuti in pugno fino ad oggi. Quelli cioè che, ricoprendo incarichi politici da più di dieci-dodici anni, oltre a far crescere e proteggere le loro “famiglie” a discapito di tutti gli altri, hanno scelto come loro successori (si fa per dire) persone caratterialmente deboli o della loro stessa indole. I secondi sono irrecuperabili mentre i primi potrebbero (dovrebbero) “svegliarsi” da un momento all’altro e tirare fuori le unghia. Non posso far nomi perché le mie sono semplici sensazioni ma credo che qualcosa del genere possa accadere in tempi meno lunghi di quanto è immaginabile. Da lì deve partire la rivolta, dall’esterno è più difficile. Una premessa che è anche un consiglio vista la piega che sta prendendo l’economia italiana ed europea.

Da oltre un trentennio i politici ragionano così: per farmi eleggere non devo mostrare le mie capacità e la mia onestà ma devo semplicemente cercarmi una cerchia di persone alle quali promettere una vita migliore a discapito di altri. La frase “sono il sindaco, l’assessore, il consigliere comunale, il presidente del consiglio DI TUTTI” è una delle più grandi cazzate dei nostri tempi ma anche di tutti i tempi.

Sulla diminuizione delle province, sulla necessità di accorpare comuni è iniziata tra i rappresentanti politici dei vari territori una specie di guerra dialettica tutta accentrata sulla difesa a tutti i costi del proprio territorio di riferimento, ritardando un iter che, non è necessario… è indispensabile. Vedi l’onorevole Ciccanti (altri ancora di più) che si stanno ergendo a paladini dell’ascolano come se il nome della nuova istituzione fosse più importante dell’istituzione stessa. Mi spiego: i vari onorevoli, sindaci, assessori eccetera non ragionano pro-cittadini ma pro se stessi. Motivo per cui ho l’impressione che le proteste servano solo per far confusione in modo che nulla cambi. Mi viene da ridere quando certi politici si “attaccano” per stupidaggini e questioni personali come se fossero stati eletti se fossero stati eletti per difendere le proprie opinioni che nulla c’entrano con il mandato ricevuto dai cittadini.

Se non fosse così ragionerebbero in modo diverso e cioè così: è giusto l’accorpamento di istituzioni che non giustificano con valide motivazioni la loro esistenza ma è anche giusto che nessuno deve trarne vantaggio. Per esempio stabiliamo un minimo di 600 mila abitanti per un dipartimento e di 100 mila per un Comune. Poi prendiamo una cartina geografica e dividiamo il territorio di 600 mila abitanti in sei parti. Chiamiamo Dipartimento e Comuni con un nuovo nome (l’importante che non esista già), lasciando ai vari comuni grandi e piccoli la loro denominazione storica da evidenziare con una cartellonistica che ne metta in risalto le pecularietà. San Benedetto ridarrebbe a Porto d’Ascoli la sua identità e così via. Nulla a che vedere con i raggruppamenti turistici (Piceno, Fermano, Maceratese che potrebbe benissimo essere più piccoli), la cui crescita andrebbe assegnata ai privati con la sovrintendenza dei politici in qualità di controllori, come da mandato elettorale.

Mi ci gioco tutto che questo sarà il futuro (quello italiano perché in America, per esempio, è il presente) che sarà tanto più lontano quanto maggiore sarà la resistenza dei nostri politici e quanto minore sarà la forza di ottenerlo prima possibile da parte dei cittadini. Infatti, l’unica cosa che accomuna cittadini e politici è la certezza che sarebbe la cosa giusta mentre quella che li divide sono gli interessi che sono personali e “famigliari” per gli attuali amministratori e logici per i cittadini onesti e benpensanti. Mentre la cosa più grave e paradossale è che questi ultimi sono molti di più dei politici e delle loro cerchie.

Lo specchio dell’Italia attuale lo ho riscontrato nel film “Paolo Borsellino” che ho rivisto la settimana scorsa: cinque persone che volevano cambiare la Sicilia furono costrette, prima di essere uccise, a rinchiudersi in uno scantinato per cercare le prove di qualcosa che tutti sapevano. E che la mafia sia stata semplicemente un mezzo per fare ingiustizia prima, lo dimostra un passaggio del film solo all’apparenza marginale: quando alla famiglia Borsellino invitata per un battesimo, dopo che le rivelazioni del quintetto avevano fatto arrestare notai, avvocati, medici, ingegneri e altri professionisti, arriva una telefonata nella quale la famiglia del battezzato consiglia la signora Borsellino a non partecipare perchè altrimenti molti altri invitati non sarebbero intervenuti alla cerimonia.

Chiudo: in terre cosiddette di mafia o di altre associazioni simili c’è la componente paura di morire che giustifica in un certo senso certi atteggiamenti, da noi no (almeno credo e spero) per cui il ripristino di una maggiore equità politica e sociale dovrebbe essere meno irta di insidie. Diamoci quindi una scrollata se non vogliamo autodefinirci tutti “quacquaracquà”.