GROTTAMMARE – “Ogni anno muoiono in carcere circa 180 detenuti. Un terzo sono suicidi. Il pestaggio si chiama infarto o emorragia cerebrale. Lo strangolamento è sempre un suicidio, per esempio”.

Il resoconto di un viaggio di una giornalista aquilana, Samanta Di Persio, un’inchiesta sulle carceri italiane.

Lunedì 16 gennaio, alle ore 21:30, alla Biblioteca comunale “Rivosecchi”, all’interno del cartellone “I lunedì d’Autore”, la giovane autrice parlerà del suo ultimo libro (Rizzoli) in conversazione con Lucilio Santoni.

“Nonostante la pena di morte non esista più- continua l’autrice- in Italia dal primo gennaio del 1948, come recita la Costituzione, in carcere le sentenze capitali continuano a essere eseguite, con discrezione, senza dare nell’occhio”.

“La pena di morte italiana, violenze e crimini senza colpevoli nel buio delle carceri” è il titolo del libro e parla dell’agonia che può durare anche ore come è stato per Stefano Cucchi o Francesco Mastrogiovanni.

Fra le pagine del libro si legge: “Si muore in cella…non è presente nessuno, il secondino è immancabilmente altrove, il medico di servizio in ritardo. I segni del male oscuro che affligge i carcerati defunti sono le lettere/testimonianze inviate ai parenti poco prima della loro morte. Sono annunci funebri, di ragazzi che gridano in una grafia incerta, disperata, che stanno per morire ammazzati”.

Scrive Beppe Grillo nell’introduzione: “Questo libro è un coro dolente di voci che ci racconta di gironi infernali dove la pena di morte è inflitta senza sentenza, senza colpe, senza testimoni e soprattutto senza colpevoli. La pena di morte non è mai stata abolita, si è evoluta. Chi, con sorpresa generale, viene trovato morto nella sua cella, con la faccia tumefatta, gli organi interni devastati, è solo un diversamente suicida”.