SAN BENEDETTO DEL TRONTO – “Non resisto ai marshmallow, ne vuoi?”: Sante Pulcini è molto ospitale e goloso di questi morbidi dolcetti fatti con il succo di malva. Lo incontro nella sua casa di Ragnola ancóra intento a trafficare con X e Y a beneficio di un giovane parente: “Lo aiuto un po’ con la matematica anche se lui si definisce un genio incompreso” – dice sorridendo. Non facciamo in tempo ad accomodarci in tinello su una tavola con un centrino fitto fitto e un portapenne che sùbito comincia a raccontare come l’insegnamento sia una grande opportunità. Chiedo di spiegare più diffusamente: “Il contatto con i giovani è la migliore opportunità che l’insegnamento offra. Poi, per uno come me al quale piacciono molto i rapporti umani, è il massimo”.

Sembra questo il filo conduttore del racconto di Sante Pulcini: il rapporto con gli altri, un rapporto franco, dai toni accesi a volte, ma sempre rispettoso della persona sia nell’esperienza da insegnante, sia da preside, sia da uomo impegnato nell’associazionismo. “L’Ipsia è stata la scuola della quale mi sono innamorato. Lì ho trovato un’umanità formidabile e mi affezionavo ai ragazzi che il più delle volte avevano delle storie personali particolari e non comuni”.

Cosa ci sarebbe di diverso nei ragazzi di quella scuola rispetto a quelli delle altre?
“L’Ipsia infonde nei ragazzi la mentalità del lavoro e, a prescindere dal fatto che poi esercitino la professione per la quale hanno studiato, è difficile che rimangano senza fare niente. Dicevo sempre ai miei colleghi anche di altri istituti: lu sape’ è lu sape’, ma lu fa’ è lu fa’.”

Quindi un forte attaccamento ai ragazzi ai quali hai insegnato.
“Con gli allievi che ho avuto in classe, anche quelli a cui davo tre, o che ho bocciato, ho sempre avuto un bel rapporto. Pensa che ancora mi chiamano a presenziare le cene tra ex alunni”.

La signora Valeria che fino a quel momento aveva ascoltato seduta in poltrona non può trattenersi dal ricordare un episodio che provocò non poca preoccupazione in famiglia. “Era impegnato per un consiglio di classe, cioè la riunione che fanno i professori per valutare gli alunni, dare i voti e decidere anche le bocciature. Aspettavo Sante per il pomeriggio, ma non tornava. Non tornò neanche a cena e neanche dopo cena. Alle undici di sera chiamai la polizia preoccupata che gli fosse capitato un incidente per strada. Per farla breve tornò alle due di mattina e si giustificò dicendo che aveva dovuto impedire che un ragazzo, che secondo lui non lo meritava, fosse bocciato. Mio marito è fatto così”.

“Sì, mi batto per difendere le mie idee. Ad esempio io sono convinto che l’istituzione scolastica meriti rispetto. Rispetto in senso ampio, anche nell’abbigliamento. Io non tolleravo che i ragazzi si presentassero a scuola con pantaloncini corti o ciabatte o con cappelli o con telefonini. Una volta ad Ascoli Piceno, dove ero preside, mi rifiutai di parlare con un allievo che indossava pantaloncini corti e ciabatte. E persino quando questi tornò accompagnato dal padre anch’egli con pantaloncini corti mi rifiutai di riceverli. Quella volta dovetti resistere a vibranti proteste, ma il principio è sacrosanto e la spuntai io”.

Per certi versi sei stato intransigente.
“Tutto serve per educare. Ricordo la mia maestra di scuola elementare che non ci faceva mancare uno schiaffo o una tirata d’orecchie. E se in famiglia se ne accorgevano, ci mettevano il carico dando implicitamente e automaticamente ragione agli insegnanti. A scuola è vietato l’abuso delle pene corporali, ma non l’uso. Sono convinto che in certe circostanze un manrovescio sia più istruttivo di una nota sul registro. Confesso però che io non l’ho mai fatto con nessuno, tantomeno con gli allievi”.

Sempre con il sorriso ci tiene a sottolineare: “Sono sanguigno è vero, quando mi infervoro mi altero, urlo, ma non me la prendo quasi mai con le persone, con le idee piuttosto. Per questo anche dopo una litigata per me dopo un minuto è tutto finito e non sono capace di tenere il broncio al mio interlocutore”.

Insomma, alla fine fai pace con tutti.
“Un momento. Io odio due categorie di persone: i ladri e i bugiardi. Forse più i bugiardi perché non sopporto i raggiri, non tollero l’imbroglio. Per questo, anche a scuola, ho sempre spronato chiunque a dire la verità. Bisogna essere corretti e fare il proprio dovere e dunque la voglia di arrivare deve avere sempre un risvolto etico. Infatti secondo me l’ambizione personale è buona solo quando produca un beneficio anche per gli altri”.

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