Riceviamo e publichiamo

Caro Direttore,

Mi chiamo Floriano Marchetti, sono nato alla Sentina e ho frequentato le scuole medie Gabrielli ed il Liceo scientifico B. Rosetti a San Benedetto.   Dopo essermi laureato in Medicina e specializzato in Chirurgia a Bologna, mi sono trasferito per lavoro negli Stati Uniti molti anni fa.  Oggi, ho il privilegio di lavorare come chirurgo all’Università di Miami.  Le scrivo, chiedendoLe ospitalità sul Suo giornale che seguo quotidianamente, per commentare la sentenza contro il Dottor Eugenio Morsiani.  Le premetto che sono amico del Dottor Morsiani che, come molti lettori sapranno, è stato per molti anni il primario di chirurgia all’Ospedale Madonna Del Soccorso.  Negli ultimi mesi mi sono molto interessato a questa vicenda perché se da un lato coinvolgeva un amico e un professionista bravo e generoso in un processo per omicidio colposo, dall’altro, suscitava perplessità che vanno al di là del caso personale date le conseguenze negative che episodi simili possono avere sul futuro della chirurgia e della sanità in generale in Italia. Mi riferisco in particolare alle conseguenze del sempre più frequente ricorso al giudizio penale nelle cause intentate contro medici.

Qui negli Stati Uniti le cause per negligenza sono all’ordine del giorno, ma in nessun caso si arriva ad un processo penale. C’è, a mio parere, qualcosa di veramente abnorme e grottesco in questo.  Prima di spiegare le mie ragioni, mi preme specificare che questa mia lettera non intende in nessun modo coinvolgere o tantomeno criticare la famiglia o la persona stessa del signor Trento nei confronti dei quali esprimo cordoglio e rispetto.

Ciò detto, Le scrivo tutte le ragioni del mio disappunto.

  • Quella del chirurgo è una professione difficile.  Nonostante quello che si possa pensare, non esistono interventi chirurgici sicuri. La realtà è che ogni operazione può risultare in menomazioni orribili, sofferenze oscene e, purtroppo, nella morte del paziente. E, sfortunatamente, questo anche senza nessun errore o imperizia del chirurgo. Perché questa è la natura della nostra professione. Ciò detto e rimanendo al di fuori dello specifico processuale che non mi compete, mi sembrano per lo meno discutibili sia l’accusa fatta nei confronti del Dottor Morsiani, sia la conseguente sentenza.  Perché questa ed altre simili sentenze dicono che l’esito tragico di questi interventi chirurgici può essere stato causato solamente dall’imperizia del chirurgo o dalla sua negligenza.  La realtà è che questo non è vero. In qualsiasi intervento addominale si ha una mortalità dell’uno percento. Durante e dopo l’intervento, una lunga serie di complicazioni da semplici a molto gravi possono verificarsi senza una particolare colpa del chirurgo. Ad esempio, l’intestino può assumere una posizione innaturale ed angolarsi in maniera sufficiente a bloccare il transito intestinale e finanche a sopprimere l’afflusso di sangue all’intestino stesso con conseguente necrosi intestinale. O ancora: ogni riconnessione intestinale (anastomosi) è soggetta ad un rischio di deiscenza che va dal 2 al 30 percento in relazione alla particolare regione intestinale.  Tutte queste complicazioni possono richiedere molteplici interventi chirurgici e risultare nella morte del paziente.
  • In chirurgia, la perizia o l’imperizia del chirurgo, la presenza di comportamenti negligenti non sono necessariamente un’opinione personale di amici o nemici, perché sono in realtà facilmente verificabili con dati e numeri. Questo è un dato che dovrebbe sempre essere considerato in questi giudizi processuali perché quantifica e caratterizza la perizia o l’imperizia del chirurgo in questione e può aiutare a distinguere il chirurgo capace da quello pericoloso. Ciononostante, questo dato non viene mai considerato in aula e un giudizio complessivo su un chirurgo si basa solamente sulle affermazioni dei familiari e sulla testimonianza di periti, ben pagati, di parte. Nel caso del Dottor Morsiani questi numeri dimostrano senza ombra di dubbio un curriculum di operazioni invidiabile. Questo esclude chiaramente l’imperizia. Per quanto riguarda la negligenza, il Pubblico Ministero come riportato su Riviera Oggi (http://www.rivieraoggi.it/2011/03/31/117866/il-processo-sulla-morte-di-mario-trento-si-e-concluso-due-medici-colpevoli/), ha detto: “Non è un caso di mala sanità ma di negligenza da parte di chi ha preso decisioni e eseguito gli interventi”.  In termini legali negligenza è “omesso compimento di un’azione doverosa”. Rimane perciò, oscuro come si possa considerare negligente l’atteggiamento dei chirurghi che hanno rioperato il paziente in presenza di una complicazione invece di “omettere un’azione doverosa”. Come puoi essere negligente se ripetutamente rioperi un paziente per cercare di rimediare ad una complicazione grave? Mi sembra evidente che se i numeri indicano la perizia del chirurgo e se gli atti compiuti sono appropriati, allora ci dovrà pur essere almeno il dubbio che forse la tragedia che si è verificata è semplicemente una possibile, ancorché gravissima, conseguenza di una operazione. Qual è il crimine commesso?
  • C’è tuttavia, un altro aspetto da considerare: sentenze come questa producono anche conseguenze di lungo termine che esulano dal destino e dalle vicissitudini di Eugenio Morsiani ma che coinvolgono tutti noi cittadini in senso esteso.  Sentenze simili hanno anche la conseguenza di allontanare da questa professione gli studenti migliori, inevitabilmente attratti da altre professioni meno soggette a simili rischi. Infatti, se questa è la direzione che il nostro Paese sta prendendo, quale buon liceale sceglierà di dedicarsi a questa nobile ed indispensabile professione sapendo che in futuro dovrà barcamenarsi tra mille difficoltà per trovare un impiego mal remunerato, che alla fine potrebbe consegnarlo direttamente alle patrie galere? Qualcuno si dovrà pur chiedere prima o poi, chi saranno i chirurghi del futuro. Chi saranno i chirurghi in Italia tra qualche anno? Chi sarà così stolto da iniziare questa carriera? Li importeremo dall’Albania? O si pensa di mandare i pazienti italiani ad essere operati all’estero?
  • Certamente, e specialmente in Italia, dove la preparazione chirurgica degli specializzandi rimane tra le più insufficienti in Europa, ci sono chirurghi e medici incompetenti o poco preparati, o incoscienti.  Questo è un problema che, aldilà dei limiti e degenerazioni del nostro sistema sanitario, è una delle cause di alcuni degli esempi di tragedie evitabili che si ripetono senza sosta in Italia.  Quello che è necessario fare è migliorare la preparazione e l’addestramento dei nostri chirurghi.  In Italia, gli specializzandi in gran parte vegetano e vengono usati come forza lavoro a basso costo.  Io dirigo la scuola di specializzazione in chirurgia colo-rettale all’Università di Miami ed ogni anno l’ACGME, l’istituto che verifica l’adeguatezza delle scuole di specializzazione, controlla la nostra scuola in maniera estremamente dettagliata e minuziosa. Molti parametri vengono controllati, come la durata delle giornate lavorative, le necessarie giornate di riposo, la valutazione diretta da parte degli specializzandi della propria scuola di specializzazione, e soprattutto il numero ed il tipo dei casi che i nostri specializzandi fanno come primo operatore.  Esistono, infatti, quote dei vari tipi di interventi che se non vengono raggiunte, conducono ad ispezioni rigorose e possibilmente alla chiusura della scuola stessa.  In ogni caso, almeno ogni 5 anni le nostre scuole ricevono un’ispezione della ACGME e tutta la documentazione di tutti e cinque anni per ogni singolo specializzando viene verificata, gli specializzandi vengono ascoltati e se sono insoddisfatti del loro training la scuola di specializzazione può essere chiusa. Di conseguenza l’università e l’ospedale perderebbero il supporto finanziario statale che ricevono per ogni specializzando. Questa serietà nell’addestrare gli specializzandi, in Italia non c’è mai stata, e dubito ci sia ora.  Io mi sono fatto 5 anni di specializzazione in Italia e poi altri 6 negli Stati Uniti: posso dire senza ombra di dubbio che chirurgo lo sono diventato in America non certo in Italia.  Le scuole di specializzazione italiane, per quanto migliorate rispetto ai miei tempi, necessitano tuttora di essere parificate con quelle europee e, se mi è consentito dirlo, anche con quelle statunitensi.  Questo è quello che il pubblico deve sapere e pretendere dalle nostre Università.
  • Ci sono casi eclatanti riportati dalla stampa che certamente sfiorano o superano i limiti del codice penale e vanno giustamente perseguiti in tal senso, ma certamente questi sono ben identificabili e vengono puntualmente riportati su stampa e televisione nazionale.  Sicuramente, il caso che vede coinvolto Morsiani non è uno di questi.  Non sto reclamando l’impunità per la classe medica e chirurgica in particolare. E’ chiaro però che si deve usare molta più attenzione prima di mettere alla gogna, non quella mediatica dalla quale ci sappiano difendere, ma quella di un tribunale penale, professionisti che, nella maggior parte dei casi fanno onestamente ed al meglio il loro lavoro. Perseguire un crimine in ogni caso di risultato negativo dopo un’operazione è semplicemente sbagliato e illogico perché i risultati negativi sono parte della chirurgia quanto quelli positivi e perché si rischia di paralizzare tutto il sistema con conseguenze disastrose per i pazienti. Credo che sia giunto il momento di dire che l’intervento del giudizio penale nelle cause contro medici è sbagliato, ingiusto, inopportuno ed ha fatto il suo tempo. Sempre che non sia stato commesso un atto chiaramente criminoso, queste vicende dovrebbero essere giudicate in un tribunale civile non penale.
  • Aggiungo, che noi siamo esseri umani che inevitabilmente commettono errori. Come in altre professioni dove la routine quotidiana è complessa e pericolosa. Il problema è che ogni nostro sbaglio può risultare in conseguenze catastrofiche per un essere umano ogni volta.  I nostri pazienti sono uomini e donne che vengono da noi, spesso disperati, ma sempre gonfi di speranza. Con loro ci sono mogli o mariti, figli, figlie, padri e madri, nipoti e amici.  Pur riuscendo a mantenere comportamenti distaccati e professionali, quei volti ci accompagnano, quegli sguardi non si scordano.  Per un chirurgo, non esiste una condizione, umana e professionale, più devastante di dover affrontare quei volti, guardarli negli occhi e annunciare che il loro caro è morto. Solo il dolore della famiglia è superiore, immensamente superiore, a questo. Noi dobbiamo vivere con questa realtà e il giorno dopo tornare in sala operatoria e rifare tutto da capo.  Non c’è chirurgo degno di questo nome che non senta su di sé la responsabilità che questa condizione, quasi unica nella nostra società moderna dove tutto è impersonale, distaccato, computerizzato, ci impone.  Non c’è chirurgo degno di questo nome che entri in sala operatoria a cuor leggero. Tutte le mattine, mettendoci la tuta, sterilizzando le mani e le braccia, entrando in sala operatoria, noi abbiamo questo in mente. E tutte le mattine andiamo e diamo il meglio di noi stessi. Sempre.  Sapere che un errore potrebbe costarci la galera o la fine della nostra carriera professionale ci rende inevitabilmente più nervosi, difensivi, timorosi. Immaginatevi lo stato d’animo di un chirurgo che si appresta ad affrontare un caso difficile e rischioso. Questa è una situazione di condizionamento terribile per il chirurgo ma soprattutto pericolosa per il paziente. Quale paziente vorrebbe un chirurgo nervoso o esitante al proprio fianco in sala operatoria?
  • Devo anche dire che, come sambenedettese, trovo deludente che pochissimi abbiano menzionato e menzionino pubblicamente tutte le cose buone che Morsiani ha fatto per i sambenedettesi, e non solo,  in tutti questi anni.  Eugenio Morsiani è un ottimo chirurgo e credo che la stragrande maggioranza dei suoi pazienti lo ricordino con affetto e gratitudine. A differenza dei tanti nomi precedentemente circolati nel nostro ospedale, a differenza di tutti i professori che, in passato, le varie Università italiane hanno cercato di rifilare a San Benedetto, Morsiani ha dimostrato di saper fare il suo mestiere e continua a farlo bene.

La nostra è una professione bella e nobile ma molto rischiosa e ogni chirurgo, me incluso, incorre in complicazioni. Credo che sia ingiusto e alla fine un detrimento per i pazienti, che un chirurgo che si assume ogni giorno, in sala operatoria, in corsia, in ambulatorio, responsabilità che farebbero sbiancare dalla paura chiunque, incluso i giudici che poi ci giudicano, debba poi ritrovarsi imputato in un processo penale come un criminale.  È ora che questo errore venga corretto.  Nessuno è al di sopra della legge ma la legge deve essere giusta e lungimirante. Ne va non solo del destino dei chirurghi, ma del destino della sanità e dei pazienti in Italia.

La ringrazio per la sua ospitalità.

Dott. Floriano Marchetti

Abbiamo preferito pubblicare integralmente e senza nostri commenti l’accorata e lunghissima lettera del chirurgo sambenedettese che lavora in Florida perché eventuali “tagli” avrebbero potuto non rispettare adeguatamente il pensiero del nostro concittadino.