SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Da “deserto culturale” a “giungla” (positivamente intesa) di offerte culturali? Questo è – non a torto, probabilmente – il tema proposto da Paolo Forlì, direttore artistico del Pao, locale che ospita soprattutto offerte musicali “pop”, oltre che consigliere comunali. Ecco la sua lettera, che offriamo integralmente per una eventuale “contaminazione” di pensieri e commenti, pubblici o meno.

Durante gli anni dell’università accadeva di ritrovarsi in città nei periodi delle vacanze e di raccontarsi di come fosse diverso vivere in altri posti; San Benedetto del Tronto aveva ben poco da offrire: un modesto cartellone teatrale, un paio di cinema, un corso in cui passeggiare e una sala giochi.

Le attività culturali erano spesso riservate a pochi e, talvolta, autoreferenziali o intrise di qualche sfondo politico. Occorreva andarsene, guardare altrove. Se da un lato l’estrosità e l’apertura mentale della nostra città favoriva una buona proposta turistico-ricettiva, e per pochi mesi all’anno, dall’altro queste caratteristiche tipiche della sambenedettesità erano costrette ad implodere ed a vagare all’interno di quello che fu definito deserto culturale. La mancanza di proposte non favoriva certo la sensibilizzazione di una “educazione alla cultura”, e la scarsità di tale educazione non premiava le proposte, talvolta anche clamorose, che qualche illuminato provò a esportare in città. In molti ricorderanno uno degli eventi più importanti (Ray Charles allo stadio Fratelli Ballarin), ma si trattava pur sempre di oasi nel deserto. Fu celebre il concerto di Rossana Casale al quale parteciparono poco più di 30 persone.

Eppure, intorno a noi, iniziavano a nascere splendide realtà: Giulianova era la nostra “New York”, offriva locali come l’Indhastria, il Malaria, e un festival magnifico come Rock Roads. Recanati vantava il celebre Barfly in cui approdarono nomi altrettanto importanti. Addirittura Ascoli Piceno, che fino ad allora si era mossa esclusivamente su territori più classici, passò alle cronache per un bellissimo locale che si chiamava Le Zanne, con numerosi eventi di tutto rispetto. Si era costretti a fare kilometri: Villa Aiello a Penna San Giovanni, il KGB a Trodica di Morrovalle, il Jesse James di Colleranesco. Queste realtà producevano “cultura” tout court, non solo da un punto di vista musicale: ci si ritrovava e ci si scambiava informazioni di ogni tipo, e così si parlava anche di cinema, letteratura, di viaggi nelle capitali europee… Noi sambenedettesi, abituati ad ospitare, eravamo sempre gli ospiti e questo non ci è mai andato giù.

Oggi, a distanza di tanti anni, è cambiato tutto. San Benedetto del Tronto non solo è la più grande realtà regionale per proposte culturali, ma ormai è annoverata tra i principali punti di riferimento artistico d’Italia. Abbiamo capito in molti che occorreva mettersi in gioco; e farlo tutti assieme attraverso un proficuo accordo tra privati che, anziché farsi concorrenza, si sono messi in rete, ed un buon apporto della pubblica amministrazione che ha pensato bene di proporre alla città eventi di qualità. Non solo: da più di due anni, ormai, San Benedetto del Tronto è aperta per tutto l’anno. C’è addirittura chi si lamenta per la enorme quantità di eventi che, talvolta, si sovrappongono. Gli artisti che ospitiamo lo sanno bene, e non mancano mai di sottolineare quanto ormai la nostra città sia divenuta popolare tra gli addetti ai lavori.

“E’ una meravigliosa giungla culturale” – dicono, che non può e nè deve permettersi di rallentare il proprio sforzo produttivo. Cultura fa pendant con turismo, ricettività, gastronomia, benessere ed educazione. La presenza di un’università non può che incrementare questo processo evolutivo, ma la ricettività alberghiera può e deve migliorare, e c’è da crescere ancora. La speranza è che la Riviera delle Palme torni ad essere un importante punto di riferimento turistico internazionale, per tutto l’anno, anche attraverso le numerose proposte culturali. Meno Fabrizio Corona e più Paolo Conte, meno Velone e più Federico Fiumani.