SAN BENEDETTO DEL TRONTO – È finita la pacchia. I clienti adsl di Telecom Italia sono nell’occhio del ciclone poiché il colosso italiano ha annunciato di voler limitare la banda Internet per quelle applicazioni che ne consumano di più; questo avverrà dal 1 marzo 2011.

Perché? Semplice: la domanda di banda, cioè la quantità di dati trasmissibili in un secondo, è maggiore rispetto a quella disponibile. Il ragionamento di Telecom in fin dei conti è: la banda costa, cioè le infrastrutture costano. Costa acquistarle, manutenerle e ampliarle quando necessario. Per capire nel dettaglio di cosa si sta parlando percorriamo la strada che fa il cavo di rame, quello del telefono e delle linee adsl, una volta uscito dalla nostra casa. Si infila in una tubazione sotto la strada e, il più delle volte, giunge ad un box che può essere posizionato su un marciapiede dove confluiscono tutti i cavi del palazzo o dell’isolato o della zona.

Da lì i cavi proseguono verso la centrale Telecom di pertinenza: a San Benedetto, ad esempio, quella di via Aleardi o quella di via Luciani. All’interno di ciascuna centrale il nostro cavo di rame viene collegato ad un dispositivo noto come Dslam (Digital Subscriber Line Access Multiplexer) che immette il segnale dati. Quanti utenti possono essere collegati ad ogni Dslam? Dipende da molti fattori ma per semplicità diciamo che ciascuno di essi può essere equipaggiato con un certo numero di schede in grado di connettere un numero prefissato di utenti. Ad esempio un Dslam potrebbe contenere 10 schede da 48 porte ciascuna, cioè potrebbe erogare 480 linee adsl. Fin qui semplice matematica.

Si capisce bene che se a quegli utenti è stata venduta una linea a 7 Megabit per secondo (il Megabit è l’unità di misura utilizzata per misurare la velocità di trasmissione dati di una connessione), quel determinato Dslam dovrebbe avere a disposizione al massimo circa 3 Gigabit per secondo di banda. Errato. La tecnologia oggi più diffusa per l’interconnessione tra centrali è la fibra ottica a 10 Gigabit per secondo. Questo significa che, bene che vada, ogni centrale sarebbe in grado di servire appena mille e cinquecento adsl. Cosa palesemente non vera, cioè ciascun presidio Telecom sul territorio serve un numero molto maggiore di utenti.

Allora cosa si fa: si suppone che non tutti i clienti consumino tutta la banda che avrebbero a disposizione con l’adsl e, soprattutto, non tutti contemporaneamente. Diciamo che durante una normale attività di navigazione fatta di pagine web, più o meno complesse, scambio di posta elettronica, visualizzazione di video e pascolo nei social network sono rari i momenti nei quali, mediamente, si arriva a saturare la banda a disposizione. Presumibilmente si arriva ad utilizzarne un terzo, poco più di 2 Megabit per secondo.

Secondo lo stesso ragionamento anche la banda che alimenta ogni singolo Dslam può essere ridimensionata di un terzo e dunque, approssimando, potrebbe essere al massimo di 1 Gigabit per secondo ogni 500 utenti. Sarebbe auspicabile ma purtroppo le cose non funzionano così poiché nella realtà le politiche di risparmio delle risorse fanno sì che con quella banda ci si faccia viaggiare qualche migliaio di utenti. Infatti, contrattualmente, la banda minima garantita è sempre infinitesimale rispetto alla velocità nominale della linea che si acquista.

Nel quadro tratteggiato, per gli operatori interviene un corto circuito alquanto fastidioso: cioè il fatto che esiste un cospicuo numero di clienti affamati di più banda rispetto alla razione secondo i calcoli appena esposti. Sono quegli utenti che falsano le statistiche poiché non usufruiscono della Rete per le comuni attività che elencavamo prima ma mantengono il computer sempre acceso con applicazioni mangia-Internet sempre in esecuzione 24 ore su 24: tipico è il caso dei programmi di peer to peer o file sharing in genere.

Stando così le cose e venendo all’annuncio di Telecom Italia, si capisce come la cura più conveniente e immediata per far marciare ancora la vecchia macchina sia quella di tagliare la velocità anziché quella, più dispendiosa ma senz’altro più lungimirante, di ampliare le infrastrutture. Anche perché il tipo di discriminazione che viene promessa, cioè quella di limitare la banda solo alle applicazioni di file sharing e non alle altre attività sul web, presuppone una indagine approfondita sul traffico Internet di ciascun utente.

È come se, ma è solo un esempio, chi sia incaricato di smistare la nostra corrispondenza debba aprire tutte le buste che noi spediamo, leggerne il contenuto e decidere che i documenti contabili possano essere consegnati con maggiore priorità rispetto alle lettere d’amore. Per tornare al contesto di Internet quell’attività viene chiamata Deep packet inspection (Dpi).

Secondo alcuni tale meccanismo minerebbe la neutralità della Rete, cioè il principio dell’indipendenza di Internet dalle scelte degli operatori sull’accesso alle risorse della Rete. Quest’ultimo argomento, come già riportato in un precedente servizio, è al centro di un dibattito che ormai da mesi in tutta Europa sta catalizzando l’attenzione di Governi nazionali e operatori di telecomunicazioni.

La netta senzazione è che il discorso sia appena cominciato e che a breve tutti i topolini imboccheranno la strada spianata dall’elefante.