SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Sembra incredibile che ci sia spazio per l’azionariato popolare nel mondo degli sport di squadra professionistici made in Usa, in genere territorio privilegiato per i “ricconi” di turno che non di rado acquistano e cedono squadre a piacimento, magari spostando la “franchigia” in un’altra città americana (o canadese) dove si riescano ad avere più introiti. Ancor più quando questa formula si rivela vincente e capace di resistere nel tempo, come racconta questo articolo da Chicago Blog. Il 45° Super Bowl – trofeo che assegna non solo il titolo di campione della National Football League, ma anche di campione del mondo di football americano, e anche l’evento sportivo più importante degli Stati Uniti, capace di inchiodare l’intera nazione davanti alla tv – è stato vinto dai Green Bay Packers, squadra della cittadina di Green Bay nel Wisconsin con una storia gloriosa e unica nel suo genere.

La squadra fu fondata nel 1919 da Earl “Curly” Lambeau e nel 1921 approdò nella neonata lega professionistica, ma incontrò subito problemi finanziari e fu costretta a dare forfait durante la stagione. Grazie a nuovi finanziatori fu costituita nel 1923 la Green Bay Football Corporation, una “public company” non-profit posseduta da migliaia di azionisti; nel corso degli anni vi sono state altre vendite di azioni per raccogliere denaro in sostegno del club, nel 1950 (grazie alla quale fu costruito lo stadio poi chiamato Lambeau Field in onore del fondatore) e tra 1997 e 1998 (per ristrutturare lo stadio).

Gli azionisti (dati del 2005) sono circa 112.000 e possiedono circa 4.750.000 azioni: nessun azionista può possederne più di 200.000, una misura per evitare che un singolo possa assumere il controllo del club. Gli azionisti hanno diritto di eleggere un “Board of directors” con 45 membri, il quale nomina il Comitato esecutivo che di fatto guida il club. Solo il Presidente, però, ha diritto a un compenso economico, gli altri lavorano gratis. In caso venisse deciso di cedere la franchigia, i proventi non andrebbero agli azionisti ma alla Fondazione Green Bay Packers, attiva nel campo sociale, sanitario ed educativo.

La struttura dei Green Bay Packers è unica nel panorama Nfl, anzi è una vera e propria eccezione visto che il regolamento della lega in teoria limita a 32 il numero dei proprietari di un team, uno dei quali deve possederne almeno il 30%: difficile, quindi, che altre franchigie possano replicare l’esempio. Ma i Packers non sono un team qualunque: prima del 45° Super Bowl si erano infatti aggiudicati le prime due storiche edizioni del 1966 e del 1967 – quando la sfida era tra i campioni dell’Afl e della Nfl – sotto la guida del leggendario coach italoamericano Vince Lombardi, al quale è poi stato intitolato lo stesso trofeo del Super Bowl. Che è poi “tornato” a Green Bay prima nel 1996 e poi lo scorso 6 febbraio, con la vittoria per 31-25 sui Pittsburgh Steelers: si può davvero parlare di un ritorno a casa.

Una casa che non è mai cambiata nel corso degli anni, tant’è che i Packers non si sono mai spostati da Green Bay, una cittadina di circa 100 mila abitanti posta sull’omonima baia del lago Michigan, a nord di Chicago e Milwaukee. Anche questa una caratteristica unica, dato che mediamente le città sede di franchigie Nfl si aggirano intorno al milione di abitanti o più. Ma la presenza dell’azionariato popolare garantisce la permanenza del team a Green Bay: grazie alla ristrutturazione del Lambeau Field non è stato neanche più necessario spostarsi nella più grande Milwaukee per alcune partite in casa. Non manca nemmeno una tifoseria tra le più numerose della Nfl nonostante quello che in Italia chiameremmo un bacino d’utenza ristretto (anche se i tifosi dei Packers si estendono anche nel resto del Wisconsin e pure oltre): è dal 1960 che in casa si registra ininterrottamente il tutto esaurito.

È una storia che dimostra che azionariato popolare e successi sportivi possono andare di pari passo, pure in un contesto “ipercapitalistico” (ma anche ben regolato) come quello dello sport Usa. Un concetto che in Italia fa fatica a sfondare, tenendo conto che le società calcistiche italiane quotate in Borsa non hanno mai concesso spazio nei consigli di amministrazione ai rappresentanti degli azionisti (si veda l’approfondimento del sito Linkiesta), e in generale non si è mai riusciti a realizzare un vero e proprio azionariato popolare, restando sempre legati all’arrivo del grande investitore (o presunto tale) di turno. Cambierà qualcosa nei prossimi anni di fronte alla sfida del “fair play finanziario”?