ASCOLI PICENO – Volto noto per essere stata più volte ospite di trasmissioni televisive, in primis  “Porta a Porta”, specie dopo la vicenda di Avetrana nella quale è poi stata coinvolta direttamente diventando consulente della difesa di Michele Misseri, la criminologa Roberta Bruzzone interviene anche sul caso Goffo per RivieraOggi.it, precisando però di essere solo a conoscenza delle informazioni uscite a mezzo stampa.

“Non avendo una conoscenza diretta degli elementi ma soltanto di quello che è stato riportato dai media – dice – posso solo evidenziare, attraverso una disamina storica, alcune dinamiche che normalmente si riscontrano quando ci si trova di fronte a scenari simili a quello che si sta vivendo in questi giorni”.

Partiamo dai fatti: il ritrovamento del corpo di una donna sepolto da molto tempo e forse (circostanza da verificare con gli esami scientifici) mutilato di alcune parti prima della sepoltura.

“Posso dire che nella letteratura criminale, quando ci si trova di fronte ad un caso di mutilazione l’assassino ha quasi sempre un legame stretto con la vittima. La scelta di “depezzare” il corpo – spiega la  Bruzzone – serve chiaramente a rendere più facile la sepoltura. L’amputazione perciò è sì un modo per occultare meglio il cadavere, ma spesso avviene quando la persona appartiene alla rete di  conoscenze strette della vittima. L’atto di ricorrere al seppellimento testimonia comunque una forte freddezza e capacità di autocontrollo da parte dell’assassino”.
Quindi si può pensare anche ad un piano pensato e poi attuato: “No, non è detto. Non per questo l’omicidio è stato premeditato – replica – Possono esserci due fasi distinte: una più “passionale” in cui l’omicidio avviene senza una premeditazione, magari in seguito ad una lite, e su questo si potrà fare chiarezza attraverso gli esami che potrebbero ad esempio individuare la modalità di uccisione, l’arma, il tempo; poi in un secondo momento può avvenire che l’autore del delitto diventi immediatamene lucido, abbia un forte controllo di sè e sappia gestire con molta freddezza la situazione, con l’obiettivo di occultare il tutto. Di solito – aggiunge – chi opera in questo modo ha una personalità ben definita, quindi è una persona sicuramente di età superiore ai trenta anni. E’ in grado di gestire una situazione critica come quella in cui magari si è ritrovato non volendo, perchè, ripeto, l’omicidio non per forza può essere premeditato”.

Il fatto che, in fondo, la zona in cui è stato sepolto il corpo non sia così nascosta, ma anzi soprattutto nei mesi d’estate sia molto frequentata dagli appassionati di montagna, potrebbe però contrastare con la tesi di un occultamento, diciamo così (ci perdonino i lettori l’espressione) fatto “a regola d’arte”, studiato insomma nei dettagli da una persona fredda e lucida.

“Proprio per questo non è detto che sia stato premeditato -spiega la criminologa – E in ogni caso, anche ammesso che l’assassino avesse pensato ad un occultamento migliore, può sempre essere successivamente entrato in gioco un fattore che ha stravolto il piano di occultamento, un problema sopraggiunto in seguito. Si deve sempre  tenere presente – aggiunge – che non è così semplice disfarsi di un corpo; non è così facile portarlo e seppellirlo in luoghi impervi dove non c’è sufficiente spazio per operazioni di occultamento, anche soltanto quella di parcheggiare l’auto”.

Insomma il fatto di riuscire a seppellire un corpo indica un forte autocontrollo da parte dell’assassino, e al tempo stesso le modalità e il luogo della sepoltura potrebbero far pensare ad un atto non premeditato, una circostanza in qualche modo casuale.

Stiamo però ragionando nel campo delle ipotesi, per di più in una situazione che nel novero dei casi riportati dalla letteratura del settore non è affatto rara. Anche per questo è difficile riuscire a tracciare un profilo ben definito dell’assassino.

La gamma dei profili caratteriali riscontrati in contesti simili è veramente ampia e coinvolge ogni tipo di personalità – dice la Bruzzone – Anche le reazioni successive all’omicidio, durante la fase delle indagini preliminari e degli interrogatori, sono varie. L’assassino agisce in diversi modi: può chiudersi in se stesso, oppure può mostrarsi collaborativo e intervenire spesso, apparentemente per non creare sospetti ma anche per controllare in qualche modo “dall’interno” il procedere delle indagini. Se poi passano molti mesi dall’episodio, la sua posizione è rafforzata dalla speranza sempre più concreta di “farla franca”.
“Una volta che però sopraggiungono delle situazioni che rimettono il tutto in discussione, – conclude l’esperta – l’assassinio può manifestare piccoli segni di cedimento, o meglio parliamo di cambiamenti, magari mostrando forme di aggressività verso chi è più vicino a lui, per nervosismo, oppure iniziando a bere”.