* Docente di Storia dell’architettura e di Storia del design presso la Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno.

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – L’ultimo fascicolo del Bollettino Ufficiale Municipale di San Benedetto del Tronto (n. 12, dicembre 2010) riporta un articolo sulla recente apertura al pubblico dell’Archivio Storico Comunale in alcuni ambienti di palazzo Piacentini. La segnalazione e la firma di uno studioso e archivista di valore come Giuseppe Merlini rassicurano l’aspirazione della comunità sambenedettese a dotarsi di una simile istituzione culturale, speciale garanzia di conservazione e valorizzazione della memoria storica. Una delle due foto di “alcuni ambienti dell’archivio” mi ha provocato uno di quei déjà vu che di colpo ti proiettano piuttosto indietro nel tempo.

Ricordo. Una mattina di circa vent’anni fa l’amico Gabriele Cavezzi mi portò in una specie di isola senza tempo, inimmaginabile al di là del traffico congestionato della strada statale e dell’ingresso all’ospedale civile: la vecchia dimora degli anziani coniugi Rambelli, casa di elegante semplicità neoclassica, silenziosamente nascosta nel verde del parco (il distinto “Giardino” indicato nella mappa del novembre 1812 del catasto napoleonico conservata all’Archivio di Stato di Roma). Al lontano ma vivo ricordo della gentilezza dei padroni di casa si mescola quello del piacere di aver visto arredi, libri, stampe, oggetti ed opere d’arte che mi sembrarono di particolare bellezza. Persino certi desiderata di studioso di storia dell’architettura e di arti applicate venivano spiazzati dalla rarità di edizioni originali che mi vennero mostrate: come i due manuali barocchi di “architettura dipinta” e scenografia del celebre artista gesuita Andrea Pozzo (Prospettiva de’ Pittori, ed Architetti, Roma 1693 e 1700), o il non meno sontuoso volume romano de Il Vignola illustrato (1770). La qualità dei mobili d’epoca di casa Rambelli, del resto, era già nota agli intenditori, da che Maddalena Trionfi Honorati aveva pubblicato nel 1971 il bel repertorio illustrato “Il mobile marchigiano” (Milano, Görlich Editore), che anche a San Benedetto rivolgeva l’attenzione: in particolare alle collezioni Costantini Brancadoro, Scipioni e, oltre ad un’anonima, quella Rambelli. Di quest’ultima, la studiosa jesina segnalava alcuni singolari pezzi barocchetti: un “inginocchiatoio della prima metà del Settecento dalla base particolarmente centinata” (fig. 115), un superbo e altrettanto movimentato cassettone a ribalta in radica di noce (fig. 122), un bizzarro inginocchiatoio domestico con alzata su zampe caprine a modiglione (fig. 152), una deliziosa, cubica “piccola scrivania decorata a tempera” (fig. 176). La stessa raccolta privata sambenedettese chiudeva onorevolmente la serie di 220 immagini di quella sintesi rappresentativa della “cultura” marchigiana dell’arredo ligneo, con la splendida, architettonica “scrivania Impero in noce e radica d’olivo” che ho rivisto in una delle due foto dell’articolo sulla sede dell’Archivio Storico Comunale. In merito, la Trionfi Honorati notava che un deciso impulso alla ventata di gusto Impero (d’aria Lucchese) nelle Marche centro-meridionali, ben rappresentata dai pregevoli esempi da lei individuati (per il Piceno inferiore, soprattutto grazie alle indicazioni di mio nonno, Leone Binni), lo si doveva alla presenza del fratello di Napoleone, Gerolamo, a Porto San Giorgio, dove fra gli anni ’20 e i ’30 dell’Ottocento era vissuto in un esilio dorato, ammantato di fascino e di pettegolezzi, nella raffinata villa costruitagli dal giovane architetto Aleandri.

Mi chiedo ora se il particolare e riconosciuto pregio del mobile Impero che ora è stato posto a palazzo Piacentini nell’arredo dell’Archivio non debba suggerire una conservazione più rigorosa (e rispettosa di eventuali vincoli relativi alle disposizioni legali del lascito Rambelli): che comunque non implichi problemi conservativi, e, meno che meno, un uso ordinario da scrivania.