MONSAMPOLO DEL TRONTO – “Ripensare lo sport come gioco e non come agonismo, come un’occasione per far uscire i soggetti disabili dal chiuso dei centri e delle case facendo vivere loro esperienze importanti di socializzazione ed integrazione”. Nelle parole di Massimo Narcisi, assessore ai Servizi Sociali del Comune di Monsampolo, è riassunto un po’ il tema del convegno intitolato “Sport e disabilità. Una nuova sfida per il nostro Territorio”, che si è svolto a Stella sabato 20 novembre.

Il dibattito, organizzato dall’amministrazione comunale, vuol essere un punto di partenza per la creazione di un tavolo permanente, all’interno dell’Ambito Sociale 21, su sport e disabilità. L’obiettivo era duplice: da un lato fare il punto della situazione, per quanto riguarda questo territorio, sullo sport come strumento di inclusione sociale per la disabilità, dall’altro far incontrare i vari soggetti che vivono ed operano quotidianamente con i disabili (sanità, sociale, volontariato, famiglie, enti pubblici) per arrivare ad una progettazione condivisa.

Al convegno hanno partecipato diversi esperti in materia che hanno contribuito al dibattito. Edio Costantini, presidente nazionale della Fondazione Giovanni Paolo II per lo Sport, ha ribadito la necessità di legare l’attività sportiva ad un fine educativo: «Abbiamo bisogno di educatori e non di prestatori d’opera – ha spiegato – solo così lo sport sarà capace di includere, di rendere autonomi e di rimettere al centro l’umano».

Partendo dalla sua esperienza di direttore di Special Olympics Toscana Paolo Luccattini ha fatto notare come sia importante che «disabili e normodotati si allenino insieme, differenziando l’allenamento per dare ad ognuno la possibilità di esprimersi e di divertirsi al massimo delle proprie possibilità».

Mauro Raffaeli, psichiatra del Dipartimento di Salute Mentale della Asl Roma A, ha parlato invece del progetto “Comunità quartiere, quartiere comunità”, che ha permesso ai suoi pazienti di vivere esperienze importanti di lavoro e di socializzazione, al di fuori dei tradizionali centri per portatori d’handicap.

Al termine delle relazioni si sono succedute diverse testimonianze dei disabili, da cui sono emerse problematiche comuni quali la solitudine, la difficoltà ad essere ascoltati, la diffidenza delle famiglie nel mettersi in gioco e, non da ultimo, le difficoltà economiche, tutti elementi critici che spingono a rivedere l’approccio nei conforti dell’handicap.