SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Un’analisi spietata, razionale, triste e “antimoderna” del “calcio moderno”: presentiamo con poche righe una riflessione accuratissima del grande giornalista e intellettuale Massimo Fini, pubblicato sul numero di martedì del Fatto Quotidiano. Da leggere e diffondere. Per capire il calcio, per capire il nostro mondo.
Calcio, anatomia di un omicidio
di Massimo Fini
Nel mio libro, Il denaro. “Sterco del demonio”, del 1998, fra i vari esempi di come l’eccesso di razionalizzazione economica finisce per distruggere il contenuto dell’oggetto cui viene applicata, portavo, fra gli altri, il calcio. Del resto già nel 1982, con l’introduzione in Italia del “terzo straniero” avevo preconizzato che il calcio, ridotto a puro business, benché resti “il gioco più bello del mondo”, sarebbe andato lentamente a morire. Perché il calcio, checché ne pensino i suoi reggitori degli ultimi trent’anni, privi non solo di cultura sportiva ma semplicemente di cultura, prima di essere spettacolo, prima di essere gioco, prima di essere sport è rito. Ed è proprio il rito che è stato distrutto dal denaro.
Così scrivevo nel 1998:
“Per un secolo il calcio è stato una grande festa nazional-popolare, interclassista, che si celebrava la domenica, in sostituzione di altre cadute in disuso. Attorno alla partita si coagulavano elementi rituali, mitici, simbolici, sentimentali, emotivi che, al di là del gioco e dello spettacolo, costituivano la vera ragione della passione per il calcio: il riconoscersi in una squadra, nella sua storia, nella sua tradizione, nei suoi colori, nelle sue maglie, in certi giocatori simbolo, nel suo carattere la cui continuità era assicurata dal passaggio di testimone di generazione in generazione, fra gli “anziani” e i giovani del vivaio e della “Primavera”. Il business ha emarginato tutti questi elementi a favore di uno spettacolo asettico e buono per tutte le bocche, in particolare per quelle del consumatore televisivo: oggi in Italia e in Europa (cioè dove c’è il centro di questo business) ci sono società con tredici stranieri, altre che mandano in campo fino a otto giocatori di colore, gli atleti cambiano squadra ogni anno, per essere sostituiti da “novità” ritenute più stuzzicanti, o addirittura durante il campionato, non esistono più i giocatori simbolo e persino le maglie, per esigenze degli sponsor, vengono spesso cambiate. Ogni processo di identificazione è diventato impossibile. Nel frattempo la politica degli abbonamenti e dei prezzi ha tolto al calcio da stadio il suo contenuto interclassista: la suburra va dietro le porte e gli altri, a seconda del loro status, nelle diverse tribune. Ma non è finita. Entro un anno o due il campionato invece di svolgersi la domenica verrà “spalmato” su quattro giorni della settimana. (cosa poi avvenuta: che strano effetto leggere in Fini lo sgomento per una pratica oggi così comunemente accettata ma foriera di tanti problemi, ndr) “Sono scelte dettate da precise e improrogabili leggi di mercato” dicono gli addetti ai lavori (La Stampa, 4/9/97). Giocare in giorni diversi e anche in orari diversi (con buona pace della regolarità della competizione) permette infatti alle pay tv e alle pay per view (e anche questa è una ferita mortale al calcio come “festa di tutti”) e alle stesse società di fare affari colossali. Se non ci si è ancora arrivati è per il conflitto con altre ragioni economiche: il Totocalcio non è pronto. Quando ci sarà il Totocalcio online, cioè la possibilità di giocare per telefono o per fax (il che elimina anche il sub-rito collettivo della schedina giocata al bar con gli amici) si darà il via. Tutto molto razionale, molto logico ed “economically correct” ma il risultato è questo: la Festa, il rito domenicale, quello della vigilia, l’identificazione, il simbolismo, il ritrovarsi in modo comunitario, cioè i contenuti sentimentali e sociali del calcio, quanto in esso vi è di concretamente umano, sono stati sacrificati all’astrazione-denaro. Al loro posto resta la vuota forma della partita che domani potrebbe diventare come tutto il resto, virtuale. Ad ogni buon conto il calcio va a ridursi a un qualunque spettacolo televisivo, ad una Domenica in da fruirsi solipsisticamente a casa. Perdendo tutti i suoi contenuti specifici susciterà un interesse sempre più generico, vago, intercambiabile che, come tale, prima o poi svanirà. Così gli apprendisti stregoni avranno ucciso “la gallina dalle uova d’oro” e il razionalismo della forma-denaro avrà realizzato, è il caso di dirlo, l’ennesimo autogol” (Il Denaro. “Sterco del demonio”, Marsilio, 1998, p.237).
Qualche anno fa, in una domenica canicolare di giugno, gli ultras, i terribili ultras, i demonizzati ultras, in rappresentanza delle tifoserie di 78 società di A, di B, di C e delle serie minori fecero a Milano, davanti alla sede della Figc, una civilissima manifestazione al grido di “Ridateci il calcio di una volta!”. Ma furono snobbati. Persino la Gazzetta diede la notizia – a me pareva tale – in un corsivetto. E se dal 1982 il calcio da stadio ha perso il 40% degli spettatori non è solo perché è stato trasferito in Rete, ma perché molti ragazzi preferiscono avvicinarsi a sport meno contaminati dal business, che mantengono quei valori che il calcio ha avuto per un secolo, come il rugby, la pallanuoto, l’hockey (alla fine degli Ottanta Berlusconi, grande corruttore anche in questo campo, tentò con l’hockey su ghiaccio lo stesso scherzetto che aveva fatto col Milan: comprò l’intera squadra che quell’anno aveva vinto il campionato, mi pare il Como, e la chiamò Hockey Milano. Ma tutta la Milano hockeysta si mise a tifare contro l’Hockey Milano e dopo un anno il Cavaliere fu costretto a lasciar perdere). Per parte mia ho poco o nulla da aggiungere a quello che scrissi nel 1998 se non che, nel frattempo, tutti gli elementi del business sono stati ulteriormente enfatizzati. E mi fa specie vedere che le “vispe terese” arrivino solo adesso a capire che qualcosa non funziona e unicamente perché la Nazionale ha fatto una pessima figura ai Mondiali che con la sostanza del discorso c’entra poco perché il declassamento del calcio a business è un fenomeno che riguarda tutto il Primo Mondo (il Terzo, essendo ancora all’inizio di questa parabola, per il momento si salva). Scrive Fabio Monti in un’inchiesta del Corriere: “I presidenti sono stati solerti nello svuotare gli stadi e a riempire gli studi, prima vendendo e poi svendendo alle televisioni tutto il prodotto calcio, senza freni e senza ritegno. Per creare palinsesti sempre più appetibili si modificano orari e calendari”. Bene. Bravi. Bis. Ma arrivate sempre con una dozzina di anni di ritardo, quando la frittata è fatta. Ma c’è un altro dato molto significativo che va ben oltre il calcio. Pur avendo puntato sul business il calcio italiano è riuscito nell’impresa di essere sotto di due miliardi di euro, così come il modello di sviluppo occidentale pur avendo puntato tutto sull’economia, marginalizzando ogni altra esigenza dell’essere umano, sta fallendo anche e proprio nell’economia. Al di là del calcio ciò dovrebbe indurre la gente a riflettere su questo modello paranoico, sul tipo di vita che sta conducendo e sul Moloch (il denaro, il Mercato, la competitività) cui sta sacrificando tutto il resto. Peraltro questo era il senso di Denaro. “Sterco del demonio“.
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Su questo argomento Fini non dice nulla di nuovo, nulla che non sia già stato detto. Piuttosto dimentica che senza il calcio moderno, ancora milioni di Italiani non potrebbero vedere le partite della propria squadra del cuore. Un milanista marchigiano, negli anni '80, doveva accontentarsi delle sintesi trasmesse dalla RAI, non aveva alcun modo di vedere le partite della sua squadra. Se oggi le persone non vanno più allo stadio, la colpa non è della TV, non è del calcio moderno. La colpa è di chi è rimasto fermo al calcio degli anni '80. Ricordo il film Ultrà (1990), in… Leggi il resto »
Caro Gundam, fatico a controcommentare. Riguardo la violenza negli stadi, l'articolo in pratica non ne parla. Per il resto, ad ognuno il suo.
Gundam, il milanista marchigiano negli anni '80 era felicissimo, aspettava con ansia Novantesimo Minuto e gli stava bene così. Una volta l'anno, se voleva, andava a San Siro, oppure – se era di San Benedetto – ad Ascoli o a Pescara o a Perugia o se voleva fare più strada anche a Napoli o a Foggia o a Bari. "Ancora miioni di italiani non potrebbero vedere le partite della squadra del cuore". Oh poverini!!! Che sfortuna!! Che ignobile violazione dei diritti umani!!! Scusa il sarcasmo, però è il corollario del tuo discorso nel mio animo :) Poi mi sembra che… Leggi il resto »
“L’equazione fra indigestione di calcio in tv (pay, ovviamente) e stadi vuoti mi sembra incontestabile, del tutto logica e consequenziale. Lo dicono i fatti”. Peccato che in Inghilterra gli stadi siano pienissimi e la Premier dipenda dalle tv il triplo rispetto al campionato italiano.
La gente non va allo stadio perchè questi sono poco confortevoli, non coperti in caso di pioggia e soprattutto pieni zeppi di teppisti che la domenica trovano la loro zona franca.
Ps: Il calcio ringrazi la Pay tv. Senno’ il Brescia non si sarebbe mai potuto permettere Roberto Baggio e Guardiola. Ed e’ solo un esempio.
va bene massimo. Allora spalmiamo le partite dal giovedì al sabato, mettiamo tutti i Mondiali su Sky a pagamento, facciamo tutte squadre di stranieri come l'Inter, acquistiamo Guardiola e facciamo stadi confortevoli.
Chiudiamo pure i vivai, tanto grazie ai diritti Tv l'Empoli può acquistare Luis Figo.
A proposito, ma negli stadi non ci pioveva sopra anche venti anni fa? E gli ultras violenti, non c'erano pure trenta anni fa? Però gli stadi erano pieni :)
Oliver, il corollario al mio pensiero è stato scritto da Falcioni. Se le Società calcistiche imponessero davvero maggiore responsabilità ai teppisti da stadio, e se trovassero una sponda responsabile da parte dello Stato, allora potremmo avere stadi decenti, senza tornelli, senza tessere identificative, senza barriere. Finalmente potremmo vivere e respirare il calcio. Io ho smesso di andare allo stadio, non perché vedo la partita in TV (non ho né Sky, né Mediaset, né RAI), ma perché non sopporto di mischiarmi a chi del calcio fa una ragione di vita. A chi è pronto a rovinarsi la fedina penale per una… Leggi il resto »
X tutte le persone favorevoli alle pay tv … Tra qualche anno … Ma e' l'oggi di molti … Ce ne staremo comodi comodi nella nostra poltrona di casa a guardare la partita … La cena non sara' più un problema visto che la spesa arriverà direttamente a casa … Il lavoro ? Anche quello potrà essere fatto da casa … Le relazioni ? … Gli amici … ? Troppo facile … Basta iscriversi a facebook ! Vi pare un mondo normale ?????? Io preferisco il 'clima' da stadio…i fumogeni ed i cori … E questa non e' violenza !… Leggi il resto »
Condivido in pieno con Fini, e poi sulla violenza dagli anni ottanta a quelli novanta lo stato ha cominciato a fare qualcosa ( penso ai settori separati ) il problema è che poi ha cominciato a marciarci sopra, agendo ad hoc visto il non funzionamento della giustizia ordinaria, punendo così TUTTI sistematicamente e sperimentando sempre nuove diavolerie dal divieto degli strumenti del tifo ( tamburi e megafoni ai messaggi – striscioni, praticamente eliminando la parte pacifica del "rito" ) all' ultima vergognosa tessera del tifoso ( della serie, se vuoi andare nei settori ospiti passa prima in banca… banca di… Leggi il resto »
il calcio è uno sport in primis…gli idioti lo hanno ridotto a merce!!
Per idioti intendo tutti coloro che comodamente vogliono far soldi ( molte volte con azioni illegali come truffe e calcio scommesse) e chi comodamente segue una partita in Tv..dando contro chi sportivamente va allo stadio!
per me il calo degli spettatori dipende solo dal caro prezzi.
Io , mia moglie e bambina ai distinti in C1 ( non porto la mia famiglia in curva per ovvi motivi ) 35 euro.
x 2 volte al mese 70.
Propongo pacchetto famiglia altrimenti devo rinunciare.
A me personalmente da fastidio che nonostante le pay-Tv in Italia mancano i grandi campioni come C. Ronaldo, Messi e Kakà e dobbiamo limitarci a vedere ex calciatori spompati come Ronaldinho e Cannavaro, relitti degli altri campionati europei.
Personalmente mi sembra un grosso limite allo spettacolo, motivo per cui le pay TV pretendono di essere pagate e motivo per cui si paga per vedere le partite…
Stavo per scrivere qualcosa di analogo a ciò che ha scritto Oliver Panichi, riguardo allo stato d'animo dei tifosi negli anni 70-80 (ricordate le interviste di Necco con i tifosi intorno?).
Anche allora c'erano i violenti, ma al di là di loro, il calcio è da tempo un ex-sport e ritengo una grave colpa assistere alle partite (sia allo stadio che in TV)
Scrivo questo da ex-appassionato.
Il discorso di Fini non è relativo alla violenza. Nè al calcio stesso. Lui parla del calcio, che, invece che gioco, è divenuto una merce. E' una merce che vende l'idea di un gioco, e non un gioco che si fa anche merce. Le maglie erano inviolabili, adesso se ne fanno sette a stagione per gli sponsor. La partita era alla domenica, ora si fanno 5 turni per esigenze economiche. Anche il calcio è diventato finto, sempre più finto, così come la nostra società è sempre più falsa, impalpabile e inconsistente, mutevole. L'economia non può essere tutto, altrimenti non ha… Leggi il resto »
@pierpaolo: che male c'è se si fanno 5 turni? Il calcio (come molti altri sport) sono un intrattenimento per chi li guarda ed un divertimento per chi lo pratica. Il Biglietto allo Stadio lo si è sempre pagato e quella è stata la prima forma di mercificazione del calcio. Il calcio attira molte persone dove ci sono molte persone è normale che si intuiscano possibili benefici economici. E che c'è di male? Il problema è quando manca la qualità; al quel punto la partita la puoi vedere solo se è la tua squadra del cuore altrimenti è uno sperpero di… Leggi il resto »
A conferma delle parole, che condivido, di Flammini si prenda l'opposizione della Lega delle società di serie A alla proposta della FIGC di limitare a 1 il numero dei calciatori extracomunitari. E' una modesta proposta per tamponare la crisi, ma sufficiente a scatenare la reazione delle società del tutto disinteressate allo stato di coma irreversibile in cui versa il calcio italiano. Tutto è rapportato a parametri economici, ma col sacrificio di ogni altro aspetto. Far dipendere ogni atto calcistico da "esigenze televisive" ha determinato veramente la morte del calcio. Ci vuole una sana gestione economica delle società, con severità drastica… Leggi il resto »
Scusate se riscrivo, ma m’è venuta adesso in mente una cosa che può contribuire a chiarire l’equivoco della nostalgia sterile di cui soffrirebbero alcuni, compreso il sottoscritto, verso un mondo calcistico che non c’è più mentre altri pensano che l’attuale sistema, almeno da un punto di vista di sinergie economiche, sia ottimale o almeno inevitabile. Facendo l’insegnante, ho spesso a che fare con ragazzi che giocano al calcio. Nulla di male, anzi molto lodevole. Assai meno lodevole il tempo da professionisti (!) che gli dedicano e la spasmodicità con la quale le loro famiglie ne seguono le gesta nella convinzione… Leggi il resto »
@... Alessandro: non c'è nulla di male (tranne che sulla "sacralità" della correttezza dei campionati… scusate se è un dettagliio) a svolgere giornate su 5 turni. Il punto è un altro: perché svolgere 5 turni? Per il bene dei tifosi e dello spettacolo? No. Questo è un tipico esempio dove la massimizzazione dell'economia non porta benefici qualitativi, ma anzi, come scrive benissimo Fini, piega tutte le qualità verso un unico obiettivo. Che è importante, ma non può essere l'unico. Ed è triste che tanti giovani ormai non siano neppure in grado di pensare in maniera diversa, e di capire le… Leggi il resto »
@pierpaolo: Si gioca 5 turni per dare ad un tifoso la possibilità di vedere più partite oltre a quella della squadra del cuore, va solo a favore dei tifosi. Non è essere tifosi mercificati è semplicemente apprezzare i gesti atletici di professionisti che esaltano e fanno divertire i tifosi. Per me sono deviati chi percepisce lo sport come un religione e fede che snatura il senso dello sport e delle prestazioni atletiche. @galie: quello che tu racconti è il simbolo dei tempi che cambiano, magari una volta si giocava a pallone per divertimento e chi aveva più talento poteva ambire… Leggi il resto »
x Alessandro84: il concetto di "campioni" si sta trasformando da super calciatore che trascina la squadra alla vittoria a super venditore della propria immagine che riempie le tasche con la pubblicità di profumi, scarpe sportive, ecc. E i media collaborano a creare miti per vendere qualche copia in più. A tutto vantaggio delle Tv a pagamento. I veri campioni fanno la differenza nelle competizioni più importanti (Mondiali e Champions) non quando si gioca con l'ultima in classifica. I vari Beckam (in passato), C.Ronaldo, Kakà, ecc. sono mediocri giocatori in confronto ai Maradona, Platini e Van Basten, con la differenza che… Leggi il resto »
Come è stato scritto il calcio è lo specchio dei tempi che cambiano. Fini, essendo un ipercritico della modernità non può che giudicare negativamente il cambiamento di questo sport. Concordo con Flammini che la cosa triste è l' obbiettivo economico, che è importante e necessario, sia diventato l' unico, in tutti i campi ( ecco perchè l'esasperazione della carriera, come dice galie) … chi sente questa tristezza la critica sia nel calcio come nella vita, per altri è normale e il resto sono solo romantici spiagnistei.
Il calcio è chiaramente uno dei riflessi dell'attuale "a-società". Trovo evidentemente scorretto i "5 turni", ma l'esigenza dei profitti televisivi è ormai un rullo compressore; il servizio da offrire agli appassionati di poter vedere il maggior numero di partite è un palliativo. Oltre al calcio non esiste più nulla e qualsiasi incontro che si voglia organizzare in settimana diventa un flop clamoroso perché assolutamente non competitivo: anche quando si tratta di affrontare problemi molto ma molto importanti, decisamente più importanti del calcio. Il profitto, però, la pensa diversamente ed ecco che o si resta a casa o si va in… Leggi il resto »
Completo il mio commento precedente riguardo alla citazione finale: la persona in questione non è un insegnante, ma è il pedagogista Andrea Canevaro, dimessosi un anno e mezzo fa da membro dell'osservatorio sull'integrazione scolastica.
L'intervista la si può trovare qui:
http://www.byoblu.com/post/2008/10/11/Andrea-Canevaro-la-Gelmini-demolisce-la-scuola-e-crea-sudditi-docili.aspx