Il nostro paese risulta essere il maggiore produttore e consumatore al mondo, di acqua minerale.

In molte zone della nostra penisola, il sapore di cloro e la durezza dell’acqua potabile, fanno preferire quella in bottiglia. Ma è sicuramente la pubblicità a giocare un ruolo importante nell’evoluzione del mercato del settore, forse perché le vengono attribuite alcune proprietà terapeutiche che l’acqua del rubinetto sembra non avere.

Anche se quest’ultima è sottoposta a controlli rigorosi, per una sorta di diffidenza nei suoi confronti, molti cittadini preferiscono portare in tavola l’acqua minerale in bottiglia, e poco importa se il costo è alto e se altrettanto alto è il costo in termini di inquinamento dell’ambiente.

Sono davvero molte quelle in commercio e spesso la scelta è dettata dal gusto personale o dal prezzo del prodotto.

Ma è l’etichetta che deve indirizzare la scelta.

Essa, infatti, permette di conoscere gli elementi che caratterizzano un’acqua in bottiglia: denominazione e nome della località d’origine, aggiunta di anidride carbonica, residuo fisso, concentrazione di ioni specifici, data e laboratorio presso il quale sono state effettuate le analisi, termine minimo di conservazione, ecc.

Naturalmente, vi è una legislazione che regolamenta questo settore, normativa nazionale, ma anche dell’UE, per stabilire le regole da applicare nell’ambito della produzione e commercializzazione delle acque minerali.

Bisogna stare attenti anche al materiale della bottiglia.

Se il cloruro di polivinile, in quanto tossico, è stato quasi del tutto escluso dall’imbottigliamento, il polietilene è a rischio luce-calore, per cui è bene controllare la data di imbottigliamento, o scegliere bottiglie in vetro.

È il residuo fisso a determinare la leggerezza di un’acqua minerale. Consiste nella quantità di sostanze inorganiche presenti nell’acqua ed è normalmente espresso in milligrammi per litro: si ottiene facendo evaporare l’acqua a 100 °C, con successiva essicazione a 180 °C. Vengono classificate in “minimamente mineralizzate” (residuo fisso inferiore/uguale a 50 mg/l), “oligominerali” (50-500 mg/l), che rappresentano oltre il 50% delle acque minerali in commercio, “medio minerali” (501-1.500 mg/l) e “ricche di sali minerali” (superiore a 1.500 mg/l).

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La presenza di nitrati (composti a base di azoto e ossigeno) potrebbe essere la conseguenza di un’eccessiva concimazione del suolo con fertilizzanti chimici, oppure pascoli di bestiame nelle vicinanze o dispersione nel sottosuolo degli scarichi civili o industriali.

Un’acqua proveniente da alte quote rappresenta una garanzia per una minima percentuale di nitrati (espressi talvolta come “ione nitrico” o NO3-). La normativa vigente fissa il limite a 45 mg/l, e a 10 mg/l per le acque destinate alla prima infanzia.

Per quanto riguarda il contenuto in sodio, meglio scegliere un’acqua minerale con basso tenore di sodio (inferiore ai 20 milligrammi per litro), visto che il contenuto in cucina è già eccessivo.

Per durezza si intende il contenuto di sali di calcio e di magnesio nell’acqua, che sono causa di incrostazioni.

La durezza dell’acqua viene comunemente espressa in gradi francesi (°F)

leggere o dolci, se con durezza inferiore a 14 °F, mediamente dure, se tra 14 e 22 °F, dure, se con durezza superiore a 22 °F.

Vi è un sito, molto interessante, da consultare: http://www.acqueitaliane.fondazioneamga.org/index.htm , dove è possibile trovare utili indicazioni, per conoscere i dati riguardanti le acque minerali autorizzate al commercio in Italia, nonché tutte le disposizioni legislative in materia. Per ogni acqua sono registrate le informazioni riportate sulle etichette, relative al produttore, alla composizione chimico-fisica e alle caratteristiche generali.

La consultazione dei dati è molto semplice. È possibile effettuare ricerche per denominazione, per area geografica o in base ai parametri chimici e fisici. Il database viene aggiornato annualmente sulla base delle informazioni pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee.