Da Riviera oggi numero 821

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – I suoi concittadini lo conoscono benissimo, e a noi ha colpito per lo spirito, la passione e l’entusiasmo che trasmette nel parlare dell’importanza delle tradizioni. Parole così insolite e rare da parte dei giovani, che abbiamo voluto conoscerlo meglio. È Francesco Casagrande, ragazzo sambenedettese che ama profondamente la realtà in cui vive.

Come nasce la tua passione per la tradizione sambenedettese?
«Mio padre è originario di Offida e mia madre di Grottammare, ma io sono nato e vissuto qui a San Benedetto. Sin da bambino ho coltivato la passione per il vernacolo, strettamente legato all’educazione dell’infanzia. Iniziai da piccolissimo a partecipare alla rappresentazioni teatrali in dialetto. Successivamente fu Brandimarti a contattarmi e a chiedermi di partecipare a “Natale al Borgo”. Da lì proseguii per dieci edizioni e decisi di approfondire e studiare la cultura sambenedettese».

Come si svolgono i tuoi studi su San Benedetto?
«Sia attraverso i materiali storici che attraverso la vita di tutti i giorni, anche sotto il profilo prettamente antropologico. San Benedetto nacque come un Borgo Marinaro caratterizzato dall’elemento della vita marittima, una civiltà ricca di simboli e rituali».

Noti delle differenze tra la San Benedetto degli studi del passato e la San Benedetto di oggi?
«Prima la città era una sorta di unicum, tutti vi si identificavano. Fondamentale il concetto della gerarchia maternale e paternale, proprio perchè solitamente il padre, imbarcandosi per spedizioni marittime, perhcè tutto in casa potesse avere un equilibrio, era solito lasciare alla moglie il “bastone del comando”. Oggi invece c’è una sfaldatura generale che richia di andare a minimizzare i valori fondanti della società».

Secondo te oggi stiamo facendo abbastanza per recuperare e conservare le tradizioni?
«Oggi c’è questo boom delle rievocazioni storiche. È un segno molto positivo ma dobbiamo anche radicarci al territorio che le ha volute, non devono rimanere appuntamenti isolati. La tradizione non è un’attrazione e basta, ma deve essere condivisa e rafforzata. Dovremmo cogliere quello che ci unifica. Oggi c’è una sorta di ritrosia a parlare in vernacolo, invece, date le grandi possibilità di coltivare interessi e passioni, dovremmo condividerlo maggiormente».

E il tuo paese, San Benedetto, come sta agendo a riguardo?
«C’è il Circolo dei Sambenedettesi che sta facendo molto, è stato persino promosso come Istituto per la Conservazione delle tradizioni locali. Per il resto, ci sono attività che stanno promuovendo bene la cultura sambenedettese. Comunque il tutto parte dall’educazione che si trasmette principalmente in famiglia e che deve rimanere una colonna portante».

Quali autori ti piaccioni di più?
«Tanti, Bice Piacentini, Ernesto Spina, Vespasiani, Palestini, Camillo Rosati detto “Verdemille”, Elio Bollettini ed Emiliano Mattioli. Amo molto anche Joice, Melville e tutta la letteratura di “mare”».

E i tuoi versi in vernacolo preferiti?
«Anche in questo caso ne sarebbero molte, ma se proprio dovessi scegliere c’è la poesia “Pozze parlà ‘nghè mammete” di Bice Piacentini».

Cosa diresti ai tuoi coetanei?
«Di sfruttare e mettere in moto ciò che più si addice a se stesso e alla sua realtà. È così che si forma una persona, è da lì che dobbiamo cercare le nostre radici, perchè secondo me solo rispettando le proprie radici si può andare lontano e fare molto. È necessario anche il rispetto per il luogo. Non è possibile, ad esempio, che per andare in vacanza i giovani prediligano quasi esclusivamente mete straniere invece che scoprire la propria Patria. Vorrei che qualcuno indagasse su questo e contemporaneamente invito i giovani a documentarsi e ad apprezzare materie come la letteratura e la poesia che, al contrario di altri ambiti, ci permettono di codificare i sentimenti e gli affetti. Da qui potrebbe partire una svolta».

Come ti impegnerai in futuro per la conservazione e diffusione delle tradizioni sambenedettesi?
«Innanzitutto proseguirò con le rappresentazioni teatrali. La prossima che la “Ribalta Picena” porterà in scena sarà infatti “Aulularia”, alla quale Molière si ispirò per “L’Avaro”. Sto anche collaborando all’allestimento di una mostra alla Palazzina Azzurra su Jack La Bolina che verrà inaugurata il 15 maggio. Continuerò inoltre a scrivere componimenti in vernacolo e in italiano, come ho sempre fatto fina da bambino».

Sambenedettese è…
«Umiltà, spirito di abnegazione nel lavoro, saper fare sacrifici ed aiutare l’altro ».