ASCOLI PICENo – Riceviamo e pubblichiamo da Armando Falcioni, presidente del consiglio provinciale di Ascoli Piceno, una lettera scritta al direttore del settimanale Panorama Giorgio Mulè.

Gentilissimo direttore,
sfogliando l’inserto dedicato alle Marche ed alle sue eccellenze, economiche e turistiche, ho dovuto constatare che, ohibò, senza saperlo, il nuovo confine marchigiano si è recentemente fermato al fiume Aso.

In quattordici pagine sul cui contenuto non mi permetto di eccepire,e neppure sulla sua buona fede o professionalità, appare lampante il completo silenzio sulla provincia di Ascoli Piceno, come se questa non appartenesse alla nostra regione.

Vada per la disamina sull’economia, ma ecco spiegato perchè a gran voce chiediamo la zona franca, ma sul turismo vorrei ricordarle, senza partigianeria, anche se un amministratore locale dovrebbe essere sempre pervaso da un sano campanilismo, equivalenza di attaccamento al territorio cui appartiene, che il territorio piceno vede nel suo capoluogo la città più bella delle Marche, Urbino non se ne abbia (legga Piovene o Sartre), conta quella riviera delle palme di San Benedetto, che non ha pari, con la maggior presenze turistiche regionali, è l’unica provincia con due parchi nazionali, è dotata di quegli inimitabili colli che graffiano il cielo (i borghi di Montalto, Ripatransone, Offida, Acquaviva non le dicono nulla?) frutto di montagne di rilievo a pochi chilometri dal mare con fiumi che disegnano valli profondissime.

Oppure, ben informato, avrà avuto notizie che questo territorio di confine è spesso più condizionato dagli influssi abruzzesi soprattutto, ma anche laziali ed umbri, di cui frequentiamo quotidianamente i lembi orientali, tanto da trovar qui poco di Marche di cui è più appendice che parte integrante,anche per una politica regionale da anni distratta per i territori estremi. Guarda caso è l’unica regione che dall’unità d’Italia in poi ha perduto un pezzo di territorio a favore di un’altra con la recente secessione della Val Marecchia.

Eppure è proprio la velata ambiguità di confine, questo naturale crogiolo di culture, tradizioni, economie del margine di quattro regioni la forza ed il fascino del Piceno anche se spesso ne è, ammettiamolo, anche la sua principale palla al piede.

Oppure, se proprio del Piceno non aveva alcuno spunto (sic!) le suggerisco, se vorrà, un tema per cui quattordici pagine non basteranno e forse neanche due numeri speciali. E’ l’unico caso di provincia recentemente tagliata a metà, di un territorio mortificato da una divisione unilaterale che da una provincia di 365 mila abitanti ne sono state create due di quasi pari popolazione, questo sì grazie alla politica lungimirante (?) della Regione. Con il risultato che nel giro di 40 chilometri avremo due prefetture, due amministrazioni provinciali, due archivi di Stato, due comandi provinciali dei carabinieri, della finanza, della forestale, due questure e chi più ne ha più ne metta, in perfetto sintonia (?) con il doveroso taglio di spese del governo (gli abnormi costi per la comunità li lasciamo a Lei).

Con il risultato che la provincia madre, grazie anche una fantasiosa normativa, dovrà sobbarcarsi tutto l’onere per la nascita della provincia figlia: insomma da una provincia intera una ne è nata e un’altra rischia di soccombere. Eccellente.

E l’agonia, nonostante le smisurate bellezze che ho tentato di riportarle in poche righe e tanta passione, sarà ancor più lenta se oltre a questa ecatombe istituzionale dovuta ad una imposta scissione si registreranno altri, immeritati, silenzi giornalistici.