SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Rosalba Ortenzi, Paola Giorgi, Sara Giannini, Maura Malaspina, Elisabetta Foschi, Franca Romagnoli, Graziella Ciriaci. Sono le sette donne elette dai marchigiani in Consiglio Regionale, su quaranta consiglieri. Una minoranza equamente ripartita tra centrosinistra e centrodestra, ma geograficamente spostata verso il centro nord.
Difatti la provincia picena si fregia del poco gratificante risultato di aver eletto sei consiglieri uomini a fronte di nessun consigliere donna. Come dire: l’altra metà del cielo non ha proprie rappresentanze. Eppure c’erano le quote rosa, l’obbligo di schierare almeno due donne su sei nelle liste. Al di là del buon risultato di Nadia Lucadei della Lega Nord, prima nelle preferenze con 750 voti nel suo partito, degli apprezzabili riscontri di Cinzia Peroni (1.309) e di Palma Del Zompo (1.029), per il resto sono dolori o quasi, senza dimenticare che qualche partito è stato costretto alla quasi umiliante ricerca di candidate per riempire la lista, poiché in diverse hanno rifiutato di scontrarsi con candidati uomini di riconosciuto seguito.
Come si può, allora, risolvere questo problema? Oppure la presenza delle donne nella politica può considerarsi non così strettamente necessaria?
Le “quote rosa” (ovvero l’obbligo di rispettare una percentuale minima di candidati donna nelle liste) non sembrano sortire effetto, anzi. I partiti sono abituati a tante forzature rispetto alla democrazia: a questo punto obbligare ad una presenza tra gli eletti delle donne di una percentuale minima (almeno il 30%) potrebbe davvero rappresentare una prima rivoluzione in un sistema iper-maschilista.