SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Quando nel 1983 comprò il centrocampista jugoslavo Aleksander Trifunovic dal Partizan Belgrado, Costantino Rozzi telefonò a Tonino Carino e gli disse scherzando ma non troppo: «Tonì ti ho fatto un dispetto. Ora voglio vedere come farai a pronunciare quel nome!». È solo di uno dei tanti aneddoti sui rapporti fra lo storico presidente dell’Ascoli e il popolare giornalista marchigiano, scomparso lunedì scorso per un tumore scoperto per caso nell’estate del 2009. A ricordarlo per noi è Giuseppe Buscemi, oggi giornalista parlamentare a Gr-Parlamento Rai. Con Carino ha lavorato a lungo alla TGR Rai delle Marche. «Tonino fu caporedattore della sede regionale Rai di Ancona dal 1989 al 2002. Ben tredici anni, un record assoluto, per una sede regionale. Un traguardo meritato per le sue doti di mediatore e di “timoniere” fra intemperie politiche e mutevoli presidenze, direzioni generali e maggioranze politico-amministrative. Non erano solo di natura calcistica, dunque, le sue capacità. Con i colleghi Tonino era esattamente come appariva in Tv. Un tipo simpatico e sanguigno, che prendeva la vita con impeto e allegria. Chi aveva con lui una discussione o un contrasto di lavoro non riusciva mai a litigarci sul serio. Ogni sfuriata poco dopo finiva al bar e a pacche sulle spalle».
«Come quando – ricorda ad esempio Buscemi – un tele-cineoperatore per errore usò la cassetta con le immagini di un importante servizio che sarebbe dovuto andare in onda di lì a poco per girarci sopra un matrimonio. Tonino divenne paonazzo. Impugnò il telefono e lo sommerse di urla e male parole. Poi, quando lo rivide il giorno dopo, prima lo scrutò muto e beffardo di sottecchi, poi lo prese per un braccio e disse: “dai, ‘ndiamo al caffè qua sotto…”».
Non si occupava solo di calcio, Carino. «Da caporedattore – precisa Buscemi – si occupò in prima persona anche di grossi fatti di cronaca marchigiana, come un grave fatto di sangue fra malavitosi a Porto Recanati, oppure la scoperta di un covo delle Brigate Rosse a Porto San Giorgio. Anche se a renderlo popolare a livello nazionale fu soprattutto il suo legame con l’Ascoli Calcio di Rozzi e la partecipazione, in collegamento da Ascoli, a “Novantesimo Minuto” condotto da Paolo Valenti.
«Tra lui e patron Rozzi – continua Buscemi – non c’era solo amicizia. Erano complementari l’uno con l’altro. Quasi un comico e la sua spalla. E viceversa. Rozzi: grande, grosso, prorompente, e non proprio raffinato nei modi e nell’eloquio, fino alla scurrilità quando ci voleva. Carino: piccolo, timido, preciso e puntiglioso anche se non sempre con successo, a causa di quegli involontari lapsus sempre in agguato. Fu da antologia quel siparietto Rozzi-Carino in diretta dallo spogliatoio delle Zeppelle con Valenti in studio a Roma. Il Presidentissimo spiega a Tonino: «Perché quando domenica scorsa abbiamo andati in trasferta a Milano…». «Siamo, presidente, siamo andati…», gli suggerisce Carino che, spalle alla telecamera, tiene alto il microfono sul volto di Rozzi. «Ah, perché? Hai venuto a Milano pure tu?», gli risponde ineffabile Rozzi. Al che Valenti, con un volto su cui si leggevano preoccupazione ma anche divertimento, con un guizzo fu prontissimo a chiudere il collegamento prima che dall’etere giungesse chissà cos’altro».
«Ma a volte – ricorda Buscemi – fra i due ci furono pure “incidenti”. Come quando l’indimenticabile Sabatino D’Angelo, subentrato nel ruolo di Carino quando egli divenne caporedattore, fu cacciato in malo modo dalla sala stampa delle Zeppelle da Rozzi in persona perché – lui povero sambenedettese – aveva fatto un servizio non gradito alla tifoseria bianco-nera. Carino ovviamente intervenne subito con un editoriale per difendere il collega D’Angelo e stigmatizzare duramente il brutto episodio. Salvo qualche sera dopo ritrovarsi a cena con Rozzi e D’Angelo per siglare la pace. Un sodalizio dolorosamente interrotto nel 1994 con la quasi contemporanea scomparsa di Costantino Rozzi e Sabatino D’Angelo».
E quando la notorietà dell’inviato stava per appannarsi, ci pensò Fabio Fazio a restituirgliela alla grande. Tonino Carino entrò infatti nel gruppo di “Quelli che il calcio”. «Furono proprio alcuni di noi della redazione Rai marchigiana a suggerirglielo», rivela Buscemi. «Per lui era un periodo particolare, e allora gli dicemmo: “Hai tutte le carte in regola per raccontare con ironia e leggerezza quelle partite che non si vedono. Perché non ci provi?”. Lui seguì il consiglio e divenne subito uno dei mattatori del programma. Durante i collegamenti aveva sempre un anonimo amico-spalla al fianco, cosa che gli consentì delle cronache di raro taglio surrealista».
Buscemi ci rivela infine un altro ricordo, legato – questo – ad una vicenda personale e familiare. «Con mia moglie decidemmo di adottare i nostri figli dopo una lunga e struggente storia cominciata un pomeriggio d’estate, quando Tonino mi inviò a Pesaro per un servizio di colore su Luciano Pavarotti, a margine del Rossini Opera Festival. Big Luciano sarebbe dovuto andare in un Istituto per ascoltare dei bimbi bielorussi in vacanza che cantavano in suo onore “O sole mio”. L’appuntamento saltò, ma io il pezzo lo feci ugualmente e così conobbi quella realtà. Una coincidenza del destino che Tonino mi ricordava spesso, tanto da considerarsi, a pieno titolo, “zio” di Marta e Artur: “Se quel giorno non ti avessi mandato a Pesaro…”».