AN BENEDETTO DEL TRONTO – Mafia, giornalismo, politica: di questo si è parlato domenica 27 dicembre all’hotel Progresso di San Benedetto, dove il locale gruppo di Sinistra Ecologia e Libertà e l’associazione Peppino Impastato si sono impegnati per permettere la visione integrale di un’intervista realizzata il 21 maggio 1992 al giudice Paolo Borsellino (ucciso di lì a meno di due mesi nella strage di via D’Amelio, mentre il suo collega Giovanni Falcone fu assassinato, anche lui con gli uomini della scorta, appena due giorni dopo, il 23 maggio).
L’intervista, realizzata da due giornalisti di Canal Plus, i francesi Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo, non è mai stata vista integralmente fino a pochi giorni fa, quando Il Fatto Quotidiano ha deciso di distribuire, assieme al giornale, un dvd contenente l’intervista e alcuni extra ad essa connessi. Sandra Amurri, giornalista del Fatto Quotidiano ed esperta dei rapporti tra la mafia e la politica («Arrivai in via D’Amelio forse appena due minuti dopo l’esplosione della bomba», ha ricordato) ha presentato il video alla folta platea presente con la quale poi si è intrattenuta in un vivace dibattito ricco di interventi da parte del pubblico (presto pubblicheremo anche le dichiarazioni di Sandra Amurri).
Il documento video fu registrato da Calvi e Moscardo nel tentativo di avere informazioni sui legami tra Vittorio Mangano, noto appartenente a Cosa Nostra, conosciuto da Borsellino fin dai primi anni Settanta, con l’attuale senatore Marcello Dell’Utri e quindi con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. I due giornalisti infatti erano a conoscenza di inchieste che da Palermo coinvolgevano i due attuali uomini politici (che nel 1992 erano attivi esclusivamente nel campo dell’economia), e poiché all’epoca Berlusconi era proprietario di La Cinq ed era intenzionato ad espandere la propria attività in Francia in concorrenza con Canal Plus, l’iniziale documentario incentrato sull’omicidio del politico della Dc Salvo Lima virò poi proprio sulle relazioni “milanesi” dello “stalliere di Arcore” Mangano, definito da Paolo Borsellino “testa di ponte” della mafia nel Nord Italia (principalmente per attività legate al traffico di droga, sequestri di persona e al riciclaggio del denaro di Cosa Nostra).
Per la verità Borsellino, nell’intervista durata 55 minuti, cerca di esulare più volte rispetto alle domande di Calvi e Moscardo su questi rapporti, spiegando che non era titolare delle inchieste in corso e quindi non poteva fornire informazioni coperte da segreto istruttorio (anche se al termine dell’intervista consegna un fascicolo su Mangano chiedendo ai due giornalisti di farne l’uso desiderato a patto di non dire che a consegnarlo fosse stato lo stesso Borsellino).
Sandra Amurri ha poi spiegato che la moglie di Paolo Borsellino, Agnese, le ha confidato che al termine dell’intervista chiese al marito chi fosse Mangano, il cui nome era stato tante volte pronunciato nel corso dell’incontro: Borsellino – che concesse l’intervista nel suo appartamento privato e non in Procura perché non si fidava più neppure dei luoghi dove lavorava – risposte alla moglie che «Mangano è un nome che fa paura, non lo devi pronunciare perché si può morire soltanto a nominarlo».
Il resto è storia nota ma ancora dibattuta: due giorni dopo sarebbe morto Falcone, il 19 luglio 1992 la tragica fine toccò poi a Borsellino.