TERAMO – Il litorale abruzzese e le zone a confine con le Marche, i paesi tra le province di Teramo e Pescara, la zona di Bonifica del Tronto, di Francavilla, di Silvi, di Martinsicuro, di Alba Adriatica: sono i luoghi più a rischio in cui si verifica il fenomeno della tratta di esseri umani in Abruzzo ai fini di sfruttamento sessuale e del lavoro schiavizzato. E’ quanto emerso dal convegno organizzato lunedì 14 a Pescara dall’associazione “On the Road”.

 «Nell’area in questione non si troverà mai una donna che si autodetermina e che sceglie di prostituirsi in modo consapevole – ha affermato il sostituto procuratore di Teramo David Mancini commentando il tema del convegno -. Per la maggior parte le vittime sono donne nigeriane su cui gravano debiti di natura sia economica che psicologica. Le donne che vengono portate in Italia per poi farle prostituire – prosegue Mancini – sono spesso vittime di riti tribali che influiscono pesantemente sulla loro psiche. A questo bisogna aggiungere il costo del viaggio per giungere in Italia che deve essere riscattato».

Centrale, secondo Mancini, il momento del primo approccio con le potenziali vittime di tratta: «E’ necessaria la creazione di una rete tra forze dell’ordine, questure ed attori sociali, per fare in modo che l’individuazione delle potenziali vittime avvenga fin dall’identificazione. Fino a quando questo percorso verrà lasciato alla sensibilità del singolo, è destinato a fallire».

Più difficili da individuare, invece, le vittime di lavoro schiavizzato «poichè – spiega Mancini – pur di non perdere quei pochi soldi che percepiscono come stipendio, spesso non denunciano i loro datori di lavoro».

Nel periodo 2007-2009, secondo i dati comunicati dalla Onlus On The Road, sono state 119 le persone vittime di grave sfruttamento e tratta – seguite poi dall’associazione nei programmi di reinserimento sociale – che hanno avuto come ultimo domicilio o come ultimo luogo di sfruttamento e schiavitù (e conseguente emersione) il territorio della regione Abruzzo. Si tratta di 68 donne e 45 uomini.
 Le donne hanno un’età compresa tra i 16 e i 50 anni, e provengono nella maggior parte dei casi da Nigeria (38), Romania (19), Cina (7), Kyrghistan (2) ma anche Cuba (2), Marocco (1), Moldavia (1), Albania (1), Russia (1) e Ucraina (1). Nella quasi totalità dei casi, si tratta di donne inserite nel circuito dello sfruttamento sessuale della prostituzione, sia in strada che al chiuso (appartamento e locali notturni).

Gli uomini hanno un’età compresa tra i 17 anni e i 44 anni, e provengono dall’ Iraq (23), dall’India (12), dall’Egitto (3), dal Marocco (2), dalla Nigeria (2), dal Costarica (1), dalla Cina (1) e dalla Bulgaria (1). Le 23 persone provenienti dall’Iraq sono state intercettati e sottratte dal circuito criminale prima del loro inserimento effettivo nell’ambito dello sfruttamento lavorativo. Gli altri 22 uomini sono stati inseriti nel circuito dello sfruttamento lavorativo e di altre attività illegali. Delle 119 persone prese in carico, 96 erano domiciliate nella Regione Abruzzo. Di queste 64 venivano sfruttate nello stesso territorio, mentre l’ emersione dalla situazione di sfruttamento è avvenuta negli stessi comuni per 45 di loro. Le altre 23 persone venivano sfruttate e sono emerse nel territorio della Regione Abruzzo, ma vivevano in altre regioni.
 «La provincia di Teramo – conclude Mancini – ha stilato da tempo un protocollo che crea intese con i diversi organismi chiamati ad individuare le potenziali vittime ed è stato preso ad esempio dall’Unione europea e segnalato dalla Direzione nazionale antimafia (Dna) a tutti gli uffici italiani. Il problema semmai è un altro, e si tratta della carenza di uomini e mezzi lamentata dalle forze dell’ordine che dovrebbero presidiare il territorio. Il protocollo esiste ma bisogna anche controllarne l’applicazione».