SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Sopravvivere al dramma: talento borghese. La disperazione e la leggerezza della classe dominante che supera trionfante la tragedia di chi soccombe, almeno fino al successivo colpo di scena. Dal genio di uno dei maggiori drammaturghi inglesi del novecento, la rassegna Teatro San Filippo Neri ha ospitato la commedia “Un ispettore in casa Birling”.
L’opera, scritta nel 1945 da John Boynton Priestley col titolo originale di An inspector calls, fu rappresentata per la prima volta a Mosca nello stesso anno ed è considerata un classico del teatro britannico. In Italia arrivò in una prima versione del ’47 e una successiva negli anni ’80. La nuova trasposizione, basata sulla traduzione di Giovanni Lombardo Radice, vede la regia di Giancarlo Sepe e due grandi nomi del teatro nazionale: Paolo Ferrari, nel ruolo dell’ispettore Goole e Andrea Giordana in quello di Arthur Birling. Insieme a loro, Crescenza Guarnieri che interpreta Sybil, la signora Birling, e Cristina Spina nel ruolo della figlia Sheila; Vito Di Bella e Mario Toccafondi, rispettivamente nei panni del futuro sposo Gerald Croft e di Eric il giovane rampollo di casa Birling. Loredana Gjeci è la cameriera Edna.
Nell’Inghilterra del 1912, una famiglia borghese sta festeggiando il conveniente fidanzamento della figlia con un ricco industriale, quando uno strano ispettore di polizia si presenta a casa loro con l’intenzione di interrogarli sulla morte atroce di una giovane donna. Uno dopo l’altro, i presenti apprenderanno di essere legati alla ragazza. La sua vita disgraziata li ha sfiorati tutti, e tutti loro hanno contribuito alla sua miseria e al suicidio finale. Tra colpi di scena e suspense tipici dei grandi gialli, sul palco sfilano anche i peccati capitali, in una visione spietata del mondo industrializzato. Una sorta di rivisitazione dei Morality plays (Moralità), con cui l’autore recupera la volontà di istruire lo spettatore sulla condizione dell’uomo, sempre in bilico tra la vocazione ai precetti buonistici della religione e l’irresistibile tentazione al peccato.

Voce dell’autore, nella sua invettiva contro la classe borghese è l’ispettore Goole: nella magistrale interpretazione di Paolo Ferrari svela chiaramente il suo ruolo di guida assoluta dell’intreccio e dei dialoghi. La sua figura crea tensione mentre stabilisce i movimenti sul palco, la sua essenza si materializza nella cruda esplicazione dei fatti; dispensatore di realtà dalla voce che sembra un eco, quasi una coscienza rivelatrice.
Le parole di Goole suonano come una sentenza e la sua onniscienza porta i protagonisti alla confessione delle proprie colpe e all’apparente autocommiserazione.
Il suo antagonista, Andrea Giordana nei panni del capo famiglia Arthur, è il verosimile  rappresentante di un mondo dove l’apparenza e l’opinione pubblica misurano la serenità dell’esistenza e il potere giustifica i mezzi. Quando una telefonata gli conferma che non esiste nessun ispettore Goole e nessuna ragazza è morta, riapre i festeggiamenti perché lo scandalo è scampato e la sua carriera è salva. Il cerchio si chiude con un ultimo colpo di scena e il tempo si ferma, lasciando i protagonisti immobili in una verità surreale.

“Un ispettore in casa Birling” è una danza elegante sul banco degli imputati, in cui Ferrari-Goole pianifica e improvvisa la coreografia di un eccellente corpo di ballo. Notevole la scelta della colonna sonora che sicuramente contribuisce a creare l’atmosfera e a sottolineare l’intreccio della commedia.
Uno spettacolo di grande impatto, in cui gli attori ipnotizzano lo spettatore, giudice silenzioso, fino all’ultimo colpo di scena.