DAL NUMERO 797 DI RIVIERA OGGI

Quali sono stati i tuoi studi, prima di intraprendere questo cammino?

«Ho frequentato l’Istituto Tecnico Agraria Ad Ascoli, in seguito ho frequentato un anno della Facoltà di Giurisprudenza all’Università di Macerata, dopodiché ho deciso di entrare in seminario».

Quando e come hai capito che volevi dedicare la tua vita a Dio?

«Ho sempre amato vivere in maniera attiva la religione, in principio come chierichetto, quindi coro e poi come educatore e così via. Quando ho preso la decisione del sacerdozio, avevo vent’anni, e non è facile spiegare come avvengano queste cose. Nel mio caso è arrivato un momento in cui il vero me stesso mi si è rivelato in tutta la sua verità, senza più finzioni, ho capito chi ero e cosa volevo per la mia vita».

Sei cresciuto in una famiglia cattolica? Come hanno preso la tua decisione?

«Si, ma non di quelle bigotte. Ho sempre vissuto in un ambiente a stretto contatto con il mondo cristiano, in modo molto sereno, e quando hanno saputo della mia scelta in un primo momento erano sbalorditi e forse un po’ contrariati, avevo vent’anni, ma poi hanno rispettato molto sia me che la mia decisione con grande discrezione».

In quale realtà parrocchiale hai cominciato a concretizzare la tua vocazione?

«La Comunità dell’Annunziata di Porto D’Ascoli è stato il luogo in cui sono cresciuto e maturato, è lì che ho mosso i primi passi e mi sono arricchito molto delle esperienze vissute con i ragazzi. Da lì ho poi intrapreso il Seminario ad Ancona».

Prima di giungere alla parrocchia “Regina Pacis” dove esercitavi il sacerdozio?

«Provengo dalla parrocchia Cristo Re di Porto D’Ascoli, nella quale sono stato per otto anni. È stata un’esperienza indimenticabile, a stretto contatto con Don Pio, nella quale abbiamo affrontato molte sfide. I ragazzi dell’oratorio, le problematiche giovanili, i campi scuola. È stata un’esperienza molto importante per me».

A proposito di ragazzi, come crede che ci si debba rapportare con loro affinché vivano serenamente e spontaneamente la fede? Crede che la sua giovane età sia un punto di forza in questa comunicazione?

«Io sono dell’idea che si debba camminare insieme. Saper ascoltare ciò che hanno da dire senza giudicare. Evitare fughe nel giovanilismo, perché capiscono quando un comportamento è falso e non lo accettano di buon grado, essere veri, sinceri ed offrire loro la massima disponibilità. Inoltre non credo che la giovane età in generale sia necessariamente determinante. Anzi, il fattore anagrafico è molto relativo, credo che sia importante l’esperienza, il contatto con i ragazzi».

Lei è anche docente di religione all’Istituto Tecnico Commerciale Capriotti di San Benedetto: è importante anche questa esperienza per rafforzare il suo rapporto con i giovani?

«Sicuramente è un contesto importante nel quale imparare a capire il modo in cui i ragazzi si esprimono. È dal 2005 che insegno in questa scuola e credo sia una fonte inesauribile per comprenderli meglio e vivere il loro mondo da vicino».

Impressioni sulla cerimonia di accoglienza di cui è stato protagonista giovedì 15 ottobre?

«Voglio dire un grazie grande ai parrocchiani della Regina Pacis per l’accoglienza che mi hanno riservato. Ho provato tanta emozione perché mi hanno fatto sentire subito parte della comunità».

Ha dei progetti per la parrocchia, iniziative per coinvolgere i ragazzi?

«Sono appena arrivato quindi è ancora presto per avanzare proposte o idee, quello che so con certezza è che mi impegnerò fortemente affinché questa parrocchia divenga una casa per i ragazzi. È una comunità che ha solo 18 anni, è giovane e deve parlare con i giovani».

Come sono i rapporti con l’ex parroco?

«C’è sicuramente amicizia e cordialità, gli sono molto grato perché ha fatto in modo che al mio arrivo fossi accolto calorosamente».

Crede che la fede stia attraversando un momento di crisi? Come si dovrebbe rapportare la chiesa rispetto a questi tempi?

«Non è la fede che è in crisi bensì l’uomo. È l’uomo che perde se stesso e non sa come ritrovarsi, è difficile capire ciò che si vuole davvero. La Chiesa deve essere umana, senza porsi in posizione di superiorità».

Centobuchi è un’altra di quelle realtà in espansione nelle quali la povertà e l’immigrazione rappresentano una cruda realtà. Lei cosa ne pensa, come bisognerebbe affrontarla?

«La comunità cristiana deve considerare i poveri la risorsa numero uno. Ci sono delle iniziative con cui si può far fronte al problema, ad esempio prima qui c’era il Banco Alimentare, ma la cosa più importante è che si vada a cercare la povertà casa per casa, ovvero non aspettare che le situazioni di disagio si manifestino. Bisogna prendere l’iniziativa, capire ed essere disponibili».

C’è qualcuno in particolare che vuole ringraziare?

«Molte sono le persone a cui devo dei ringraziamenti, ma un pensiero speciale va ai parroci della comunità dell’Annunziata grazie ai quali sono cresciuto in questo cammino di fede».