dal settimanale Riviera Oggi numero 794
Franco Paoletti, nato a San Benedetto nel 1943, sposato, due figli, può dire di aver attraversato a 360 gradi tutti i percorsi della carriera politica. Vi entra all’età di 26 anni come consigliere comunale nelle file della Dc. Un percorso inarrestabile che lo porta ad essere prima Segretario comunale, quindi provinciale e regionale del suo partito. Consigliere regionale per tre legislature tra gli anni 80-90 con in mezzo sette anni come Assessore regionale all’Agricoltura e Politiche comunitarie. E’ stato anche presidente del Consiglio regionale e capogruppo, fino alla segreteria provinciale e regionale del Partito Popolare. Oggi è un atletico signore che, pur non praticando la così detta “politica attiva”, non smette di rivolgere ad essa il suo sguardo attento.

Ripubblichiamo nel nostro giornale online l’intervista apparsa tre settimane fa nella nostra rivista per la rubrica “Che fine hanno fatto” con un’avvertenza ai lettori: quando l’abbiamo scritta, l’ex sindaco Alberto Cameli era ancora vivo. Perciò nel testo che segue Paoletti non parla della perdita di un suo collega di politica e amico personale.

Con la sua prima nomina da giovanissimo pensò di “poter fare la differenza”?

«La mia elezione fu preceduta da una brevissima esperienza politica giovanile. Più che altro l’iniziativa per me fu assunta da amici tra i quali Giuliano Silvestri, poi diventato parlamentare. Non avevo una grande vocazione per la politica. Fui eletto più per merito di una cordata che per meriti propri perché mi ero appena laureato ed ero stato via per motivi vari. Poi varie vicende, tra le quali un commissariamento del Comune, mi portarono a frequentare il Comune con una tale frequenza che mi rese in breve tempo molto popolare. Lì iniziò una carriera né programmata né desiderata. Gli eventi uniti a qualche mia capacità mi proiettarono alla carica di Segretario provinciale della Dc in un territorio vasto, complicato, difficile quale la provincia di Ascoli Piceno. Alla prima vera prova elettorale vera e impegnativa, quella regionale, risultai eletto al primo posto, nonostante concorrenti esperti e più anziani».

Due politici che ricorda con piacere?

«Ne ho incontrati molti ed apprezzati tanti. Li ricordo tutti con piacere sia i colleghi che gli altri con i quali ho combattuto battaglie politiche che allora si dibattevano “on the road”, per la strada, nei bar che sono state un po’ le nostre palestre. Non vorrei fare dei nomi».

A proposito di bar, c’era quel “Bar Centrale” a Porto d’Ascoli

«Consentiva a noi giovani di confrontarci e forgiarci nel rapporto con altri esponenti più esperti. Ricordo Primo Gregori, tanto per intenderci. Sindaco, consigliere regionale, una specie di “tribuno” capace di arringare le folle, quando ai nostri comizi si faceva fatica a mettere insieme un pugno di persone. I comizi plebiscitari di Gregori ci davano la misura di come fossimo una minoranza esigua in questa città e soprattutto a Porto d’Ascoli, da sempre fucina di personaggi politici. Ma poi la voglia di rivalsa come partito e come frazione ci portò ad eleggere in un sol colpo quattro consiglieri comunali. Da lì non ci fermammo più. Silvestri prese la strada per Roma, io diventai assessore regionale. Quando si è combattuto per la Provincia di Fermo mi opposi con tutte le mie forze per evitare il “frazionismo”. Portavo sempre ad esempio Porto d’Ascoli che come frazione di San Benedetto aveva quattro o cinque rappresentanti politici. A volte ci si lascia prendere da risentimenti campanilistici senza che ci sia una vera sostanza».

Al “Bar Centrale” si poteva assistere a confronti civili tra un Gregori e Giuseppe Benigni da una parte e Silvestri e Paoletti dall’altra…

«Noi li guardavamo con un po’ di invidia ed eravamo consapevoli dell’enorme divario di forze che c’era fra noi della Dc ed il Pci che poteva vantare su bacini elettorali come l’Agraria, la Sentina, Ragnola, tutti grandi quartieri fortemente connotati di rosso. La loro era una organizzazione esemplare: distribuivano in giro l’Unità, la loro bacheca era sempre aggiornata mentre noi facevamo fatica a mettere insieme alcuni amici o ad organizzare piccole riunioni nei quartieri. Eppure non ricordo di risse o alterchi perché in definitiva il nostro essere democristiani ci distingueva dall’avversario ma la nostra comune estrazione popolare era tale che ci portava a discutere sui temi più accesi con un profondo senso di appartenenza ad una radice comune».

Il suo assessorato regionale fu un grande riconoscimento alla Dc perché lei veniva da un territorio dove la sinistra la faceva da padrona…

«A livello regionale con la Dc, il Partito Popolare e la Margherita siamo sempre stati in maggioranza. Per me era l’occasione per rappresentare questa provincia ma anche una ricaduta utile per il territorio che non era mai stato rappresentato in Regione. Mi sono occupato anche di Politiche Comunitarie attraverso le quali sono riuscito ad ottenere finanziamenti per il Palacongressi. Anche per Sanità e Turismo, incominciavano finalmente ad arrivare finanziamenti al sud della Regione».

Dopo una carriera così ci si sarebbe aspettato il grande balzo verso il Parlamento…

«Qui ci sono stati diversi parlamentari: Giuliano Silvestri (Dc), Pietro Paolo Menzietti, il compianto Guido Ianni entrambi del Pci. Ma penso che come assessore abbia potuto esercitare in termini positivi un potere che si è tradotto in iniziative che un parlamentare non è in grado di assicurare perché al Governo difficilmente è possibile. Il mio percorso nel dopo Regione è imputabile in larga misura alla mia indeterminatezza perché io, da segretario del Partito Popolare, ebbi la possibilità di essere candidato in un collegio di questa Regione, rifiutai Ascoli perché lo ritenevamo perdente per il centrosinistra. Non esito ad affermare che oggi un Luciano Agostini sarebbe molto più utile alla Regione da assessore che da parlamentare. Ad esempio alla Sanità dove siamo largamente penalizzati perché non abbiamo una rappresentanza a livello regionale. A discapito di un ospedale sempre più decadente. E qui registro purtroppo uno scarso interesse da parte della città. Un popolo deve essere orgoglioso ma anche all’altezza di scegliere una classe dirigente in grado di portare risultati e benefici a tutta la popolazione».

Un atto di cui va fiero ed uno che non rifarebbe dal punto di vista politico…

«Penso di essere stato l’artefice della creazione delle Usl. Tutti si battevano perché ce ne fossero solo quattro come le Province. Noi ne ottenemmo tredici e di questo ne vado sicuramente fiero. Credo anche di essere stato artefice, con Giuliano Silvestri e il ministro Gaspari, del nostro Palacongressi che avrebbe meritato ben altro destino. Ho realizzato, credo da solo, il finanziamento del Porto Turistico di San Benedetto nonostante fossi contrastato dagli stessi pescatori che lo vedevano come una minaccia al porto peschereccio e commerciale. Il rammarico potrebbe essere quello di non aver creduto fino in fondo che nel 2001 c’erano le possibilità concrete per una mia elezione al Parlamento».