MARTINSICURO – «La Federazione Romanì esprime una dura condanna nei confronti dei giovani Rom responsabili della morte dello studente marchigiano Antonio De Meo avvenuta a Villa Rosa di Martinsicuro (Teramo), ed esprime le sentite condoglianze alla famiglia del giovane»: Nazzareno Guarnieri, presidente della Federazione Romanì esterna parole di cordoglio sul sito dell’associazione, ma nello stesso tempo riconduce gli episodi di criminalità che vedono spesso protagonisti i Rom alla mancanza in Italia di una politica per l’integrazione.

«La Federazione romanì – proseguenon può esimersi dal denunciare anche i responsabili morali di questo omicidio, per l’indifferenza istituzionale e la strumentale propaganda che si sono sostituiti, anche nella Regione Abruzzo, alla programmazione di interventi adeguati di integrazione culturale della minoranza etnica Rom, in particolare dei minori Rom, nel rispetto di una legalità a tutto tondo.

L’integrazione culturale non è un atto di bontà del singolo amministratore, ma un suo preciso dovere istituzionale, sancito e norme e principi costituzionali».

Guarnieri chiede cosa sia stato fatto finora nella regione Abruzzo e nei comuni della costa teramana per favorire l’integrazione culturale dei giovani Rom e per prevenire il disagio e la devianza che sono alla base di episodi di criminalità.

«Certamente nessuna politica adeguata di integrazione culturale per la minoranza Rom è stata realizzata – conclude – e le conseguenze si riversano irrimediabilmente sulla quotidianità di tutti i cittadini».

Dello stesso avviso è anche Alexian Santino Spinelli, musicista e docente universitario: «Episodi come questo  – afferma – vanno assolutamente  condannati, ma hanno una responsabilità singola. Non si può condannare l’intera popolazione Rom. Non bisogna fare di tutta l’erba un fascio perché non rende giustizia a quei Rom onesti che lavorano e sono integrati: artisti, insegnanti, circensi, negozianti, sportivi, commercianti, gestori di bar e alberghi».

Per Spinelli «l’emarginazione porta alla devianza e al degrado» e definisce i campi nomadi come «un’italian apartheid» di cui né i politici si occupano, né i media denunciano. «I Rom sono fortemente discriminati e ciò non favorisce l’incontro, lo scambio, il rispetto reciproco, la conoscenza e l’integrazione. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti».