SAN BENEDETTO DEL TRONTO – La maggioranza gongola, la minoranza strilla, Di Pietro annuncia un “information day” addirittura il 5 giugno, giorno precedente alle elezioni europee e amministrative. Solito cliché. La nomina di Mauro Mazza a direttore di Raiuno e di Augusto Minzolini quale ammiraglio della corazzata (pur pluriammaccata) del Tg1, a chi scrive, lascia il tempo che trova. Anche se i consiglieri del CdA Rai vicini alla minoranza non hanno partecipato all’elezione (ma il presidente Paolo Garimberti ha dato suo voto favorevole alle nomine) e parlano di «nomine decise in altra sede e ratificate in consiglio» (non sappiamo se sia vero, ma non ci stupirebbe affatto), ci sembra che in pochi guardino al problema con corretto spirito critico.

La Rai è come un albero malato, e nessun Consiglio di Amministrazione ha le medicine per guarirlo: i frutti, sono avvelenati. Ve lo immaginate, che so, il direttore del Messaggero di Roma, Roberto Napoletano, che scrive peste e corna del suo editore, Caltagirone. Oppure, senza arrivare a tanto, sposa una politica che contrasta apertamente con gli interessi del grande gruppo edile proprietario del giornale romano. Diciamo, eufemisticamente, che avrebbe vita difficile. E’ così, grosso modo, per la quasi totalità delle testate giornalistiche italiane, almeno quelle a tiratura nazionale (ma anche localmente non si scherza).
Dunque la Rai è emanazione del proprio potere, che è un potere prima di tutto politico e quindi strettamente governativo. Il fatto che al governo vi sia Berlusconi, già proprietario di tre reti nazionali e di una lenzuolata di testate quotidiane o riviste ad alta tiratura (ad esempio Panorama, ad esempio l’utilissimo Chi, eccetera eccetera), non fa che aggravare, a livelli cancrenosi, il problema.

Che non si scopre, però, con le nomine odierne.

Ritengo infatti che partecipare al gioco delle nomine Rai, alla valutazione della loro correttezza, sia quanto di più inutile possibile. Persino Biagi, Montanelli o Bocca, Pansa, Zucconi o Feltri e compagnia, messi in quel ruolo, non potrebbero, o non avrebbero potuto, fare informazione libera.

Il sistema va totalmente riformato, e la responsabilità di liberare dalla politica e dalle lobby questi pur valorosissimi professionisti dovrebbe ricadere sull’unica figura istituzionale che ancora, in Italia, non è stata toccata da eccessivi dubbi di rappresentatività democratica: il Presidente della Repubblica. Che sia lui, a sceglierli. Impossibile, però, che i partiti compiano un atto di riduzione del proprio potere di controllo.