ASCOLI PICENO – Fuori i numeri: l’applicazione del decreto Gelmini determinerà nelle scuole della Provincia di Ascoli (compreso il fermano) la riduzione di 324 cattedre nel prossimo anno scolastico e la chiusura di 35 classi. Cosa significa? Si prospetta dunque la soppressione di scuole nei piccoli centri e la formazione di classi fin dalla prima elementare con un numero di alunni spesso vicino a 30, un insegnante unico e orario ridotto a 27 ore settimanali. Questo per il solo 2009, senza considerare cioè che la legge prevede ulteriori tagli di 1.650 milioni di euro per il 2010 e di 2.538 milioni di euro per il 2011.
Alla luce di quanto si sta delineando, il presidente della Provincia Massimo Rossi e l’assessore provinciale alla pubblica istruzione Olimpia Gobbi raccolgono l’invito del mondo della scuola e delle famiglie ad impegnarsi in tutte le sedi istituzionali: già per lunedì prossimo 20 aprile la Regione Marche ha convocato un apposito tavolo al fine di analizzare i dati e definire le modalità più efficaci per un’azione congiunta ma è intenzione della Provincia coinvolgere l’Upi regionale e nazionale (di cui Rossi è vicepresidente) per tentare ottenere ripensamenti su una politica scolastica così devastante.
«Non si tratta di riduzione di sprechi, come una comunicazione fuorviante e interessata ha voluto e vuole far credere – dicono Rossi e Gobbi – né tanto meno di una riforma ma di un pericoloso disinvestimento dalla scuola pubblica che non viene messa in condizione di rispondere alle esigenze dei tempi, della società della conoscenza, del futuro».
«Responsabilmente gli enti locali, al di là delle loro appartenenze politiche – spiegano il Presidente e l’Assessore – continuano ad impegnarsi per mettere a disposizione edifici, palestre, mense, trasporti, laboratori. E questo per tentare, nonostante anche i loro bilanci siano in sofferenza, di arginare l’inaccettabile scelta fatta dal governo nazionale. Ma nulla possono sul personale e sulle ore di attività didattica perché questi sono campi di esclusiva competenza statale. L’impegno degli enti locali è quello di rappresentare in tutte le sedi istituzionali, politiche e democratiche la domanda forte del territorio di modificare questo indirizzo normativo, di investire nuove risorse sulla scuola o, nel caso in cui ciò non sia possibile, di reinvestirvi almeno le eventuali economie provenienti da una riduzione delle possibili aree di inefficienza. Chiediamo insomma di non fare cassa con la scuola e quindi di non indirizzare ad altri settori ciò che si toglie a un servizio pubblico primario quale quello dell’istruzione».