SAN BENEDETTO DEL TRONTO – RivieraOggi.it cercherà di raccogliere quante più testimonianze e di ricavare quante più informazioni sulle cause dei crolli nel terremoto in Abruzzo, con particolare riferimento alle strutture pubbliche e all’ospedale San Salvatore, totalmente inagibile.

Di seguito, un articolo di Carlo Bonini apparso su Repubblica.it del 10 aprile 2009
CI hanno raccontato della furia del terremoto e non ci hanno spiegato che l’Abruzzo, come una parte consistente del Paese, soprattutto nel centro-sud, è seduto su un letto di cemento impastato con sabbia di mare. Imbracato da un’anima di ferro che il sale di quella sabbia si è mangiato con il tempo, rendendolo sottile e fragile come uno stuzzicadenti.

Un portavoce di “Impregilo” (già gruppo Fiat e oggi gruppo Benetton-Gavio-Ligresti) ha spiegato ieri che quella che è oggi tra le principali imprese di costruzione del Paese (è capofila per la costruzione per il ponte sullo stretto di Messina) si aggiudicò è vero nel 1991 la gara per la messa in funzione dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila, ma è “estranea alla realizzazione delle opere di cemento armato“. Che non fu lei, ma “altri, nei primi anni ’80”, ad impastare il calcestruzzo di quello che, dall’alba di lunedì, è il simbolo accartocciato della vergogna. Ma, evidentemente, c’è di più del San Salvatore nella catastrofe abruzzese. Racconta oggi Paolo Clemente, ingegnere della task force Enea-Protezione civile al lavoro tra le macerie dell’Aquila, che gli edifici di nuova costruzione – e per “nuova” è da intendersi fino a trent’anni – sono implosi tutti allo stesso modo. Si sono prima “seduti” sulle proprie fondamenta per poi accartocciarsi al suolo sotto il proprio peso. Di più. “Per quello che è stato sin qui possibile vedere attraverso la ricognizione tra le macerie – spiega – il collasso dei piani bassi è stato prodotto dallo schianto dei pilastri in cemento”.

Perché? Paolo Buzzetti, presidente dell’Associazione nazionale costruttori edili (Ance), è persona seria. E la mette così. “Se parliamo di sollecitazioni di grado e accelerazione pari a quelle registrate all’Aquila, il cemento armato, se fatto a regola d’arte, deve reggere. Non si discute”. Dunque, non è neppure un problema di rispetto di norme antisismiche. È un problema di cemento. Paolo Clemente è d’accordo. “Purtroppo è così – dice – Quel cemento non era di qualità”. Incapace di assorbire e disperdere energia, si è sfarinato come pasta frolla non appena investito da una forza di accelerazione che – spiegano gli addetti – è stata, domenica notte, tutt’altro che irresistibile. “Un buon cemento – dice l’ingegnere Alessandro Martelli, responsabile della sezione Prevenzione Rischi Naturali dell’Enea, professore di Scienza delle costruzioni in zona sismica all’università di Ferrara – deve essere in grado di sostenere un carico che oscilli almeno tra i 250 e i 300 chilogrammi per centimetro quadrato. Questa è la regola che dovrebbe valere anche per edifici non proprio recenti. Diciamo dal ’70 in poi”.

Non è sempre così. Anzi, molto spesso non è così. Qualche nome. Qualche luogo. Nel 2003, dopo il terremoto che nell’anno precedente ha devastato Molise, diverse regioni e comuni italiani sottopongono a verifiche statiche gli edifici scolastici. In Molise, il cemento del liceo “Romita” di Campobasso non regge più di 46 chilogrammi per centimetro quadrato (è sei volte sotto la norma). In Sicilia, a Collesano, nell’entroterra di Cefalù, i pilastri della scuola superiore non vanno oltre i 68 chilogrammi per centimetro quadrato. L’asilo, i 12 chilogrammi per centimetro quadro. Il cemento – ricorda oggi chi condusse l’ispezione – si bucava con la semplice pressione dell’indice. Ciò che restava della sua anima di ferro era uno sfilaccio rugginoso e corroso. Cosa aveva messo in quel cemento chi aveva giocato con le impastatrici e le vite degli altri? E cosa hanno messo in questi anni nel cemento delle nostre case, delle nostre scuole, dei nostri uffici? E quanto ci hanno guadagnato?

Paolo Clemente risponde da ingegnere, con la rassegnazione di chi, purtroppo, sembra sveli un segreto di Pulcinella. “Normalmente, i cattivi costruttori utilizzano sabbia di mare. Costa niente, rispetto alla sabbia da cava. Il problema è che, oltre alle molte impurità, è piena di cloruro di sodio. E quei cloruri, con il tempo, si mangiano il ferro. I margini di guadagno sono alti. Diciamo che fatto 100 il costo della costruzione, chi gioca con la qualità del cemento arriva a guadagnare fino a 50, 60. Chi costruisce a regola d’arte è al 30″.

Paolo Buzzetti, mercoledì sarà all’Aquila con una propria commissione tecnica dell’Ance. L’associazione, oltre ad essersi offerta per la ricostruzione della Casa dello Studente, promette un’accelerazione: “Io non amo i processi sommari. Ma deve essere chiaro che non vogliamo difendere tutti. Che chi ha sbagliato, pagherà. Perché per questi signori non c’è spazio nell’Associazione. Chiederemo che venga reintrodotta una figura di controllo che accompagni la costruzione di un edificio dall’inizio alla fine. Evitando che i subappalti, da strumento necessario di duttilità, diventino il ricettacolo di furbizie e illegalità. Ma ci batteremo anche perché il Paese esca dalla logica del ribasso. Quella che spinge molti, pur di stare nel mercato, a costruire a prezzi impossibili. Ad abdicare alla qualità e alla sicurezza”.