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Marco Fulvi, nato a Force, ma stabilitosi a Grottammare, inizia, ventenne, la sua attività artistica nel passaggio dal diploma all’università. Ricorda: «Chiesi a mio padre di regalarmi dei colori ad olio. Lui mi diede  20.000 Lire e da lì tutto ebbe inizio». Autodidatta, influenzato dalle opere di Giorgio De Chirico, in principio adotta un linguaggio di chiara estrazione metafisica: i manichini sono protagonisti assoluti. Dopo un viaggio in Francia, decide, d’improvviso, di smettere: «A Parigi, visitai la mostra dei Surrealisti e vidi Magritte dal vivo: lì capii che quello a cui tendevo io era già stato fatto. Così ho mutato completamente i miei obiettivi e, per 10 anni, mi sono dato al teatro di strada». Trasferitosi ad Ascoli, riprende la pittura e concerta una esposizione di suoi acquerelli su Force (con musiche di Gianluigi Carlone della Banda Osiris) impostata come un Giallo. Quel che trapela dai panorami e dagli scorci di Force è l’interesse per i paramenti murari delle case: «Mio padre era muratore, così ho sempre avuto dimestichezza con questa materia. L’idea del mattone continua ancora oggi a sedurmi». Dopo gli acquerelli, sperimentazioni stilistiche e mostre si susseguono: dalle matite ai pastelli con le prime Marine, i Nudi, gli Autoritratti, i Gatti.

Le ultime serie realizzate, i Ritratti e le Case coloniche, guardano all’arte del Quattrocento ed esibiscono una tecnica di pittura antica appresa, a Firenze, da una suora di clausura: la tempera all’uovo e vino bianco su tavola. L’uovo è un collante e il vino bianco è un antiossidante. Quando solidifica, l’uovo affiora dando un effetto perlaceo al quadro. E’ questa una tecnica lunga e faticosa: i pennelli sono molto sottili e le velature infinite, per non parlare della difficile reperibilità dei pigmenti colorati e della preparazione di base della tavola che va fatta a mano. Spiega l’artista: «Ci vogliono molti passaggi per preparare il supporto alla pittura. Sono 19 i passaggi, in cui impiego cotone, colla di coniglio e gesso. Nonostante la non brevità del lavoro, però, la pittura su tavola ha un altro fascino. E’ una materia preziosa».

Lo studio/atelier del pittore e la sua residenza coincidono. Dichiara egli stesso: «A me capita di dipingere in qualsiasi momento della giornata. Mi accade, talvolta, di dipingere anche dopo cena o la notte. Non ho orari. E amo questo rapporto stretto con la casa. Non mi piace il distacco dal lavoro: voglio avere tutto qui, a disposizione. L’idea dello studio, del luogo dove ti rechi a lavorare, non fa per me. Per fortuna uso queste tecniche ecologiche tipo i pastelli o la tempera all’uovo, perché, se dovessi dipingere ad olio, l’odore dell’acquaragia non mi farebbe vivere».
Il suo è dunque un rapporto totale con la pittura, che non permette di scindere il momento della vita da quello dell’arte: «Tu vivi e dipingi. Tante volte, a pranzo o a cena, mangio e guardo il quadro. E ci medito su. Un dipinto non è solo il momento in cui lo dipingi, ma è la meditazione, il ripensamento. Questo lo puoi fare solo se ce l’hai sotto gli occhi tutti i momenti».

La recente serie delle Case coloniche marchigiane sarà oggetto di una mostra a Moresco, la prossima estate, dal 26 Luglio al 16 Agosto. «Moresco, secondo me, è il posto ideale per esporre la mia produzione: tu ti affacci dalla torre e vedi le mie colline dipinte. Hai un orizzonte aperto. Dal mare agli Appennini, vedi  il monte dell’Ascensione, tutta la vallata del Fermano. Insomma, tutto  il paesaggio piceno», chiarisce Fulvi. Le sue case, sventrate e surreali, si rifanno alla sacralità popolare, agli ex-voto. Prendono spunto dai classici santini, per evidenziare una genuina Fede contadina. Oltre all’esposizione è in programma anche un convegno sull’architettura rurale, a cui parteciperanno storici, antropologi e architetti.

Ma non è questa l’unica iniziativa in calendario dell’artista. Il 30 Settembre prossimo, a Firenze, presso la Fondazione Gruppo Donatello, Marco Fulvi presenterà il suo Polittico -una installazione di 27 ritratti assemblati insieme già in occasione delle due fortunate mostre di Teramo e di Ascoli Piceno.

Il passo successivo dell’artista, terminate le mostre, sarà quello di esperire un’altra tecnica pittorica antica: l’olio di lino crudo con pigmenti su tavola. «Sono uno sperimentatore. Ora il mio desiderio è tornare ai ritratti con l’olio su tavola, come Antonello da Messina. Desidero impostarli in modo nuovo, recuperando la preziosa materia cromatica dei coloristi del Quattrocento».