San Benedetto del Tronto – Walter Veltroni si è dimesso per non essere riuscito a portare avanti l’idea di un partito democratico che potesse correre da solo e che con il tempo avrebbe potuto essere l’alternativa democratica al Pdl.

Dalle primarie in cui è risultato persona vincente, inattaccabile e ideale per far decollare questo nuovo progetto e soggetto politico, si è passati ad un logoramento quotidiano dell’uomo che voleva cambiare il vecchio modo di fare politica a sinistra e abbattere la vecchia nomenclatura per creare un partito snello e moderno sulla scia di quello americano o laburista inglese.
Lo scopo era quello di uniformare la politica di centrosinistra che avrebbe dovuto spazzare via “i partitini” dentro e fuori il partito democratico, fare chiarezza a sinistra ed essere antagonisti alla destra.
Questa è stata “la paura” di quelli che dentro il partito hanno sempre nuove velleità fatte di storie di continue mediazioni e abituati a riposizionarsi ad ogni occasione oppure perché sono condizionati costantemente dai poteri forti ai quali devono rendere incondizionatamente conto.
Quest’uomo che, sotto la nomea del buonista, ha saputo dare un grande scossone e un valido
contributo alla causa della sinistra italiana, quando è stato chiamato a servire il partito e poi ha lasciato perché gli eventi politici lo richiedevano, lo ha fatto con grande dignità e senza mai far polemica.
Era stato chiamato a furor di popolo dopo la caduta del governo Prodi; lui ci ha riflettuto molto, era restio e non voleva imbarcarsi in questa difficile avventura, sapendo i rischi politici che correva, ma lo ha fatto sperando di fare un servizio al partito e al popolo di sinistra che in Italia purtroppo mantiene i connotati ideologici e programmatici di sempre.
Ha fallito perché ha anche fatto diversi errori (i più grandi: scarsa opposizione, poca visibilità dell’azione politica e alleanze sbagliate) ed ora che è stato messo fuori gioco, tutti gli dimostrano solidarietà; addirittura la Lega Nord si è detta preoccupata per la mancanza di un interlocutore che potesse far decollare un federalismo che molti (specialmente le regioni del sud) non vogliono.
I nuovi, che dovrebbero traghettare il partito fuori da questo difficile momento, per ora non li vedo, sono tutti “stagionati” da tanti anni di dure battaglie e nessuno si fida più di nessuno: c’è una storia continua di potere e di contrasti che non sono stati mai superati.
Non c’è nel Pd un uomo come ha la destra che è padrone assoluto del partito e temuto anche dai suoi stessi alleati per l’immenso potere che ha accumulato in questi ultimi quindici anni di politica attiva (Il caso Mills, condannato a quattro anni e sei mesi, colpevole di corruzione in atti giudiziari per aver intascato 600 milioni di dollari dalla Fininvest per aver testimoniato il falso in due processi contro Berlusconi, è passato quasi inosservato sui media ed è l’ennesima e ultima riprova del quasi totale controllo dell’informazione) e quindi deve trovare un nuovo modo di competere, senza rincorrerlo sulle televisioni che sono quasi suo monopolio esclusivo.
Cosa deve fare allora il partito per uscire da questa situazione non più sostenibile?
Sembra banale, ma innanzitutto deve ritornare a fare politica e a fare opposizione.
Altro punto essenziale e forse più importante del precedente, è quello di ricreare un collegamento quotidiano, intenso e ramificato sul territorio e capire le sue istanze, come ha saputo fare benissimo la Lega Nord, visto che la strada che porta all’informazione obiettiva, come ho detto prima, è occupata quasi completamente.
Deve trovare poi una persona veramente nuova, concreta, indipendente, di forte personalità, scollegata dalla vecchia struttura e vicina alla gente (per intenderci uno simile ad Obama) che sappia circondarsi di persone leali, professionali e competenti; i vecchi poi dovrebbero avere la compiacenza e la lungimiranza di farsi da parte e diventare magari i saggi disincantati della futura classe dirigente, il valore aggiunto del nuovo partito.
Per ora la sinistra deve accontentarsi di D. Franceschini che traghetterà il partito fino al
prossimo congresso, al quale si augura di non fare la fine del suo predecessore.

*Opinionista, esperto di politica e economia