SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Le “bandiere” nel calcio non esistono più. Intese come giocatori simbolo che alla squadra di appartenenza hanno dedicato una vita. Ma qualcuno ancora rimane. Con le debite proporzioni si può senz’altro affermare che Ottavio Palladini è uno di questi. Da sambendettese puro sangue continua la tradizione dei Palestini IV detto “Sofiola”, di Gigi “Testina d’oro” Traini o Tom “Tom” Rosati per citarne alcuni.
Ottavio, come valuti l’attuale situazione della Samb?
«Beh, penso sia sotto agli occhi di tutti. Non dimentichiamoci che veniamo da tre partite difficili dove, se non altro, abbiamo raggranellato quattro punti. Poca roba, s’intende, ma mai come ora dobbiamo restare concentrati sull’obiettivo primario che è quello di uscire dalla zona play-out»
Qualcuno azzarda l’ipotesi che, a questo punto, sarebbe meglio concentrare le energie sui play-out.
«E’ una considerazione alquanto inopportuna. Primo perchè sarebbe come ammainare bandiera bianca quando mancano ancora dodici partite alla fine del campionato. Secondo perchè i rischia di generare tra i giocatori un senso di frustrazione che potrebbe diventare pericoloso qualora si tramutasse in rassegnazione»
Calendario estremamente equilibrato: sei partite in trasferta e sei in casa.

«Ed è proprio su quest’ultime che dobbiamo costruire gran parte della nostra salvezza. In questi sei incontri ospiteremo Portogruaro, Lecco e Legnano che in misura maggiore o minore sono dirette concorrenti. Queste vanno vinte e basta. Ma prima di tutto dobbiamo iniziare con il fare risultato dalla prossima trasferta con il Lumezzane. Con questo intendo principalmente i tre punti»
Nella partita contro la Spal si sarebbe dovuto osare di più?
«Sicuramente. Come d’altronde in tutte le cose. Però ricordiamoci solo un momento del tiro di Visone, della girata di Ferrini e della staffilata di Pietribiasi. Non sono state occasioni velleitarie ma, nelle due ultime, il portiere avversario ha dovuto fare autentici miracoli. Mettiamoci anche che la Spal ha la migliore difesa del girone, che abbiamo perso a dieci minuti dall’inizio un giocatore come Titone e che da ormai troppo tempo il campo del Riviera è in condizioni infami»
Anche quest’anno ci ritroviamo al giro di boa con l’acqua alla gola. Preparazione estiva inadeguata o campagna acquisti non all’altezza?
«Sulla preparazione non direi. Per il resto il nostro handicap maggiore è stato quello di essere stati costretti a giocare praticamente senza attacco. Poi, come sembrava esplodere Pippi, ecco la sfortuna dei suoi malanni. Non voglio entrare nel merito perchè non sta certo a me giudicare l’operato dei quadri tecnici della società ma a chi critica l’operato dell’allora Ds vorrei ricordare che fu lo stesso a portare in Riviera i vari Curiale, Soddimo o Cia, tanto per citarne alcuni»
A Lumezzane dovrete fare a meno dei tifosi e si dà ormai per certo che il provvedimento sarà esteso fino alla fine del campionato.
«Che peccato! I nostri supporters ci hanno trattato in modo splendido. A volte persino aldisopra dei nostri meriti, se consideriamo che le contestazioni sono state quasi esclusivamente rivolte alla dirigenza e allo staff tecnico. Questa è senza dubbio una gravissima perdita. Specie quando ti ritrovi a giocare fuori casa, con il pubblico avversario che magari ti sta fischiando senza pietà non si ha idea di cosa significhi per noi giocatori rivolgere lo sguardo verso la curva ospite e sentire che qualcuno ti sostiene come solo i nostri tifosi sanno fare. Domenica scorso a sentire di nuovo i cori della Nord mi è venuto il groppo in gola»
Cosa ti senti di dire ai tifosi?
«Che mai come ora abbiamo bisogno del loro supporto. So che hanno già dato molto. Conosco il loro stato d’animo per averci parlato in strada, nei bar, ed in altre occasioni. Chiediamo solo di fare tutti insieme un ultimo sforzo per concorrere all’obiettivo comune che è quello di salvare la Samb»
Qualche rimpianto?
«Uno solo. Non essere tornato prima a casa. Ovvero alla Samb. Alla squadra della mia città devo tutto. Mi ha permesso di disputare venti anni di calcio a livello dignitoso e per questo ne sarò eterno riconoscente. Ho 38 anni e un ginocchio un pò malandato. Ma non mi sento di appendere le scarpette al chiodo. Mi sono detto: Ottavio, tira avanti fino a che puoi essere a posto con la tua coscienza di giocatore. Poi, lascia il posto agli altri»